Per chi come me è abituato a godere della lentezza della musica, quindici anni tendono a sembrare un’attesa ragionevole per una release di questo spessore.
Per quanto riguarda “The Sciences“, gli Sleep non hanno lasciato nulla al caso, ogni dettaglio è spasmodicamente preparato, in maniera quasi rituale, ed è questo che li rende ciò che sono: leggende.
Quindici anni dopo l’uscita ufficiale del capolavoro assoluto “Dopesmoker”, “The Sciences” raccoglie una sfida davvero ardua ma ne esce a testa altissima. Cambiano i tempi, cambia la formazione, cambia il periodo storico ma non cambia la sostanza degli Sleep: un attacco sonico poderoso, dal fascino ammaliante, capace di scollegarti il cervello e portarti in una dimensione tutta sua, una band che cessa di essere tale e diventa uno stato mentale per mezzo di vibrazioni, suoni, parole e idee mischiate in un’esperienza sensoriale unica e potentissima.
Fin dal principio è chiarissimo che gli Sleep non si sono mossi di un pollice dalla loro sensazione compositiva, la particolarità dell’album deriva da una produzione meno confusa e psichedelica (ammesso che si possa realmente definire “meno”) che lascia respiro all’espressione più personale di ogni membro che, fatto bagaglio di esperienze parallele, riversa il tutto in un album che ribadisce quanto gli Sleep siano una sola mente in tre corpi diversi.
La totale reversibilità di Matt Pike e Al Cisneros fa in modo che in “The Sciences” emergano alcune sfumature che ricordano OM e High On Fire, cosa che per tanti versi non dispiace, anzi: mi sembra una discreta prova di maturità stilistica, una sorta di brand personale che compare sulla pelle della creatura che ha generato tutto.
Come suggeriscono tema dell’album e artwork, “The Sciences” porta l’ascoltatore in un viaggio all’interno dell’universo, di se stesso e soprattutto nella mente della band. Il crescendo è quasi impercettibile, si parte con un muro di suono sconvolgente, e il disco cresce lentamente fino a divenire commovente con “The Botanist“, traccia che mi ha lasciato in lacrime, per la sua bellezza e per l’aria malinconica e sognante con la quale chiude questo album meraviglioso. Pike e soci hanno ripagato abbondantemente la devozione dei loro fan, e sicuramente non si risparmieranno live.
A proposito di attese e release importanti, chissà che questa ondata di ritorni importantissimi non possa far da cornice ad un ritorno dei Tool, con un Maynard ben riscaldato e rodato dall’uscita dei suoi A Perfect Circle.
Chi vivrà vedrà, intanto godiamoci il ritorno degli Sleep.
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