Decido di premere “play” e vengo raggiunto subito da una pugnalata al petto che non mi lascia fiato, per poi riceverne un’altra dritta in pieno viso. Quel che mi sono chiesto sin da subito è stato: “Ma davvero è un gruppo italiano? In quanti riescono come loro a rievocarmi in pochi secondi delle pietre miliari della fiamma nera e a farmi sentire a proprio agio nell’ascolto?”. Con tutto il rispetto per tante band tricolore che non hanno niente da invidiare a dei capostipiti del genere ma… qui siamo a dei livelli davvero eccelsi. A dei livelli che (al primo ascolto) scrivere una recensione mi costava davvero una gran fatica, perché volevo gustarmeli in tutto e per tutto, senza essere disturbato dal dover fare altre cose che mi avrebbero anche minimamente distolto l’attenzione (infatti ho iniziato a scrivere tutto questo dal secondo ascolto). Mi hanno completamente sequestrato dalla stanza in cui mi trovavo, dove dovevo (per forza di cose) tornarci obbligatoriamente per buttare giù il mio pensiero su ciò che li riguarda. È vero sì, mi sono sentito subito a mio agio al primo ascolto, perché in pochi riff e secondi della prima traccia ho avuto degli estremi pensieri (tutti in positivo) e rievocazioni di band che amo alla follia da sempre.
Partendo dalla prima traccia, “Columna Infamis” mi ha completamente portato in un’altra dimensione (anche visionando il video ufficiale che propone in modo vincente e originale immagini da “I promessi sposi”) si percepisce subito lo stile e il mood della band al 100%: Dark Funeral e Gorgoroth (su tutti) nelle sonorità e riff delle chitarre, nell’attacco vocale e nella scelta del mid tempo, per poi sfociare in riferimenti ai Belphegor, persino nella voce. Sia chiaro, parliamo di 3 band per cui da sempre stravedo e rischierei forse di essere di parte, ma lascerò volentieri a voi l’ascolto e mi farete poi sapere. Comunque apertura con il botto (come si suol dire).
“White Death”: Basta ascoltare il riff iniziale per prendere la traccia come una bonus track di “Storm of the Lights Bane” dei Dissection (ovviamente nel senso positivo) per poi sfociare in una mitragliata di chitarre e batteria all’impazzata. Confermano ancora di più il pensiero: Questi Schwarz Pest fanno black sì, ma lo fanno bello e fatto bene. Un sound senza compromessi e senza vie di fuga che in questa traccia rievoca molto anche i blackster Mork. Al minuto 3.13 affondiamo nella totale profondità della fiamma nera, con una chitarra in solitaria che ci dà il benvenuto all’inferno, trovandoci successivamente al cospetto di fiamme e anime dannate scaturite dalla voce dritta e pungente.
“MCCCXLVII – MMXVIII”: si riparte. Chitarra iniziale di chiaro stampo Dissection sino ad inoltrarci nel perfetto e classico sound simil-Dark Funeral. Chiudendo gli occhi, una delle immagini che ho avuto di primo acchito è stata “Vobiscum Satanas” dei (appunto) Dark Funeral. Alla terza traccia di questo album ancora non ho trovato pecche, ne mi sono ancora (stranamente) annoiato. Cresce bensì la voglia di proseguire e sentire cosa mi passerà per le orecchie successivamente.
“Descent to the Innermost Part of my Dying Soul”: se di malinconia e ombra vogliamo parlare, ecco il pezzo giusto dell’album. 12 minuti di traccia. Tutto parte da un mid tempo e voce sospirata che mette brividi e trasmette sicuramente tanta negatività sulla pelle. Non è certo uno dei pezzi più pestati del disco, ma la pesantezza e il macigno sonoro lo si percepisce lo stesso dalla profondità e dell’oscurità che esplode da i riff e da questa voce maniacalmente disperata.
“Flame of Knowledge”: Lord Ahriman si mangerebbe le mani se ascoltasse una partenza e un riff così, sapendo di non esserne stato lui l’artefice. Già, perché questa è l’ennesima che i nostri Schwarz Pest non hanno niente da invidiare a Ahriman e soci. La non troppa velocità del brano fa in modo che la voce in questa traccia risulti meno potente del singer dei Dark Funeral (se proprio vogliamo affiancare totalmente le varie influenze alla suddetta band), ma non perde certamente un mezzo punto di aggressività e potenza e forse per certi versi risulta superiore o meno ripetitiva e stancante dei paladini svedesi.
Questo accade anche per la traccia successiva, “Oratio Unctoris”, sicuramente in una velocità più sostenuta appunto proposta in tale brano, che rispecchia a pieni meriti il black metal che piace a me. Quello che va dritto sparato in faccia e che non ti distoglie mai dall’ascolto, volendo percepire bene l’amalgamarsi di ogni singolo strumento con la voce e mai sfociando nel chaos.
“Morbida Vis”: riparte il mid tempo (ma fino a un certo punto del brano) con riff alla Ahriman style e voce al 100% Belphegor, sia per la pesantezza e per l’importanza data alle parole in latino ben scandite e pesanti come macigni sul significato, ma anche per le risposte (sempre vocali) da donarne un estremo e ben riuscito tributo personale a Helmuth, Serpenth e Simon “Bloodhammer” Schilling (Belphegor). Alla fine della traccia ho chiaramente ammesso che questi Schwarz Pest sono delle bestie (nel senso positivo ovviamente).
“De Homine et Capra”: con questa traccia conobbi gli Schwarz Pest, tramite il video ufficiale che (anche qui grande originalità della band) regala immagini da “Haxan , Witchcraft through the ages” del 1922. Mi colpì subito il tutto per la bestialità che sprigionano i riff, il sound e la voce. Se devo essere sincero, essendo arrivato alla traccia finale di questo album, non sono poi più così sicuro che questa sia la mia traccia preferita dell’intero lavoro. Inizialmente quando la sentii me ne innamorai e dissi a me stesso di cercare questi Schwarz Pest per saperne di più. Ma grazie a questa mia mossa (effettuata successivamente), posso solo affermare che “De Homine et Capra” era soltanto il preludio di quello che mi aspettava successivamente e che questo è un gruppo da tenere sott’occhio (almeno per il mio personale punto di vista, ai posteri l’ardua sentenza). Sono sicuro che (se non di questi tempi di pandemia, ma a breve), vedremo i nostrani Schwarz, cavalcare grandi palchi insieme a Ahriman e soci (sempre se al giorno d’oggi qualche produttore musicale ragiona ancora per la determinazione, sonorità e aggressività che un gruppo può scaturire, evitando solamente macchine da soldi con data di scadenza sul fondoschiena) o comunque band che sicuramente non hanno certo da insegnare qualcosa a questi maledetti blackster italiani che tanto m’hanno fatto appassionare al loro album. Chiudo la recensione in modo positivo: 01 “Columna Infamis” … PLAY!