I Sail Away sono una band piemontese nata nel 2013 e si è fatta le ossa suonando in giro in questi tre anni, per poi pubblicare quest’anno il questo loro primo album. Si tratta di album full lenght composto da nove pezzi, lunghi dai 3 minuti e mezzo ai 5 minuti abbondanti per una lunghezza totale di 38:30 minuti.
Le canzoni sono gradevoli, impeccabili tecnicamente e non eccessivamente impegnative per le orecchie. L’acustica è buona ma non eccelsa, il missaggio rimarca quello delle band rock anni ’80, soprattutto gli Iron Maiden, solo con il basso più alto, consentendo di sentirlo spesso distintamente a supporto della chitarra che non lesina riff buoni e assoli gradevoli. La batteria non è niente di speciale, mentre la voce ha un timbro che in alcuni punti ricalca da lontano Bruce Dickinson. Le canzoni attingono a piene mani da gruppi rock e metal anni ’80, il che può essere un’arma a doppio taglio: da una parte ti conferisce uno stile pulito e gradevole e il successo tra il pubblico locale non è garantito ma quasi; dall’altro si rischia di ricalcare cose già fatte rischiando il plagio se non si è attenti o si è a corto di idee: in questo caso rientrano la cavalcata del basso e l’assolo a due chitarre in Giants of the Dawn, e la ritmica del ritornello e assolo da AC/DC con la fluidità vocale dei Jet in Wine In My Glass, abbondantemente compensata dal resto dell’album.
Tra le canzoni rilevanti:
- Welcome Aboard: prima canzone dell’album. Si può considerare tranquillamente l’intro dell’intera opera. Riff iniziale comunque simile allo stile Iron, ma il resto della canzone è vario, attingendo da rock e metal ma con un’impronta particolare. Tra questa e quella dopo si può inquadrare i genere dei Sail Away.
- The Artificial Impostor: terzo pezzo dell’album. Di tutte le canzoni questa racchiude più di tutte l’anima rock del gruppo; mentre le altre bene o male un’impronta metal l’avevano, questa ne è totalmente priva. I ritmi sono da AC/DC, ma i riff sono più complessi e il basso si sente. Un pezzo vivace con un piccolo assolo e tanta energia.
- Giants of the Dawn: settimo pezzo. Nonostante il rimprovero di prima di ricalcare gli Iron Maiden, è una delle canzoni più belle dell’album. Riff semplice con tastiere minimali, l’assolo a due rate molto gradevole, ritornello che rimane impresso in testa. La composizione è articolata, con zone in cui si alternano strumenti accanto ad altre con tutti o con solo batteria e voce in 5 minuti e mezzo.
In poche parole è un album con proporzioni rock-metal in proporzione 60:40 più o meno, una miscela piacevole di AC/DC, Iron Maiden e altri gruppi rock anni ’80 e in parte ’90. Ritmi scatenati e assoli orecchiabili, la pecca principale è la troppa assonanza con pezzi più famosi altrui. Vale comunque spenderci un po’ di tempo, dato che tra i Sail Away e una cover band c’è la stessa distanza presente tra il dire e il fare.