Riascolto questo album per l’ennesima volta prima di iniziare a recensirlo, solamente perché volevo coglierne completamente l’essenza fino in fondo, senza tralasciare alcuna parola, pensiero e sentimento. Entrate, prendete posto e sedetevi davanti al grande schermo, perchè si stanno abbassando le luci. Dallo schermo totalmente nero si apre l’immagine di “Shine of Ivory Horns”, un benvenuto come si deve in un’ altro mondo, dove verrete subito catapultati e risucchiati in un vortice di black metal contornato da distese e valli lontane anni luce, e da cavalieri armati capitanati da un solo padrone: il Duca Alato (“Reign of The Winged Duke”). Sicuramente l’epicità di tali sonorità riesce a farmi viaggiare (almeno mentalmente) in una sceneggiatura degna de “Il Signore del Anelli” di Tolkien, con l’odore di guerre vissute e vinte e con la corsa impazzita di cavalli diretti ad un altro ennesimo scontro. L’odore di sudore e di sangue lo si respira e lo si vive sulla pelle dal momento in cui il tutto prende una atmosfera epica e fantasy (“The March Onto Golden Lands”), per poi tornare a rivivere le immagini di questa guerriglia pungente, capitanata da una batteria e una voce che ci affondano in modo precisissimo la lama più affilata in pieno petto, per un impatto senza fiato (“Age of Steel & Blood”). La batteria ha un gran bel tiro e un gran bell’impatto sulla compattezza dei brani, accompagnando una voce – per me – impeccabile, dall’animo e mood black metal ma con tanta epicità all’interno, da farcela vivere al 100%.
Questo album risulta essere davvero un film a pieni voti, e il numero delle tracce non deve assolutamente spaventarvi (19 per l’esattezza), perché il tutto è costituito si da brani di una lunghezza da non stressare l’ascoltatore, ma anche da intermezzi che evidenziano e costituiscono la parte più scenica di vari cambi capitolo, sempre con un grande e sentito stile. Credo che questa sia la quindicesima volta che ascolto questo disco e ciò che mi viene adesso da scrivere è che è diventato un’opera da ascoltare (almeno per me) una volta al giorno, perché la storia che raccontano musicalmente i maestri illustri Stormuler riesce a scaturire e donare una grande carica sull’ascoltatore (una cosa importante di cui abbiamo bisogno tutti di questi tempi). Altra cosa che ritengo essenziale da riportare in questa recensione è che, per certi versi, quando la band riparte all’impazzata nei propri brani mi sono stati rievocati più volte i migliori Marduk (di “Heaven Shall Burn” e “Nightwing”), specialmente nell’impatto sonoro di “Of Hollowed Souls & Distant Flame”. Ma anche in altre tracce come in “At The Cliffs Of Azure City”, dove quest’ ultima mi ha catapultato direttamente (addirittura) in “Opus Nocturne” (album dei Marduk del 1994).
Un impatto devastante, schiacciante, che non ti lascia fiato ne scampo e che non perde mai la forza e la determinazione musicale a cui gli Stormruler ci hanno già affezionati. Non credo di volermi soffermare ancora su i brani che rimangono per completare l’album, perché a parer mio questa band ha già vinto tutto ciò che c’era da vincere, sia la battaglia musicale che ci hanno raccontato che la nostra fiducia. Si sono decisamente fatti ascoltare per quello che sono, diretti, epici, battaglieri, in poche parole: delle macchine da guerra. Se amate le atmosfere epiche, batterie che rievocano le folli corse di cavalli in battaglia (tra l’altro vi sono anche quelle reali all’interno del disco) e le martellate nelle gengive inframezzate da melodie fantasy che servono solo a farvi riprendere fiato, allora signore e signori ecco a voi gli Stormruler! Personalmente parlando è già uno dei miei album preferiti di questo 2020 e sono sicuro che anche voi ai titoli di coda e alla riaccensione della luce vi alzerete dalla poltrona per regalare un sentito applauso che farà tremare tutta la sala.