Potrei iniziare a parlare di questo disco praticamente dal fondo, dal “non pensavo di riuscire ad amare così tanto un disco e in così breve tempo”, perché “Clone Of The Universe” è una pietra miliare nella sua interezza, ma probabilmente lui ancora non lo sa, e va bene così.
I Fu Manchu tornano e lo fanno alla grandissima, con un disco essenziale, vero, sincero e dritto al punto MA racchiudendo la personalità della band in ogni singolo suono che lo compone. Ed è proprio dai suoni che voglio iniziare a parlare di quanto questo album mi abbia colpito: tonnellate di fuzz, sbrodolante e copioso fuzz che salda sezione ritmica e chitarre in un’incudine più pesante dell’universo. Pur trattandosi di un’autoproduzione a tutti gli effetti, i Nostri hanno espresso un’enorme qualità, sia nella ricerca dei suoni sia nella post produzione, riuscendo a far suonare il disco pesante e marcissimo ma intellegibile e ben definito, cosa assai complessa data la natura “grezza” del genere e dei suoni utilizzati.
Mi sento di dividere il disco in due sezioni, la prima che va dall’inizio alla title-track, che esprime un Desert Rock tipico della band, forse un po’ sotto steroidi rispetto ai loro lavori precedenti, ma pur sempre estremamente fedele al sound e al piglio unico dei Fu Manchu.
E la seconda, che identifico in un unico brano: “Il Mostro Atomico“.
Un viaggio di ben DICIOTTO minuti fra sonorità che vanno dallo Sludge allo Stoner Rock, passando per delle sezioni altamente psichedeliche e progressive regalate dalla straordinaria apparizione come ospite dell’inossidabile Alex Lifeson dei Rush. Un brano “concept” molto sperimentale che si spinge ad esplorare riff estremi, sonorità incredibili, assoli funambolici, atmosfere più proprie degli esordi della band e finisce per tornare al suo punto d’origine con lo stesso granitico riff che apre il brano. Che dire, per sostanza e bellezza, questo brano avrebbe potuto meritarsi una release tutta propria.
Tirando le somme, “Clone Of The Universe” è riuscito a farmi innamorare in pochissime battute e mi ha sconvolto positivamente con la traccia conclusiva che sembra quasi un monumento a ciò che l’intero genere rappresenta. Sicuramente una release degna della mia prossima top ten personale, sebbene sia ancora presto questo è sicuramente uno dei dieci dischi che nel 2019 ricorderò con un gran sospiro.