Gli irlandesi Plague Pit danno un seguito al loro album di debutto “Topheth Ablaze” con un EP di quattro canzoni provenienti dai recessi più profondi dell’inferno stesso. “Labyrinthine” si consuma in ventidue minuti circa di rabbia pura etichettata come Blackened Arcane Death Metal. Formati nel 2016, i Plague Pit non rendono disponibili né il loro aspetto né tantomeno nomi o pseudonimi, lasciando parlare sfuriate di tutto rispetto.
Sinceramente, questo è un disco per coloro che amano il death metal di un amore assolutamente viscerale ed eterno. Infatti, quello proposto sul piatto si può riassumere con: growl gutturali, batteria in quasi eterno blast beat, riff chirurgici, atmosfere cattivissime e rabbiose. Sicuramente c’è stato un upgrade in cattiveria rispetto a “Topheth Ablaze”, cosa di cui è impossibile lamentarsi. Parlando di citazioni, non possono non venire in mente nomi come Incantation e Morbid Angel, anche se qua e là sembra quasi di sentire una strizzata d’occhio ai monumentali Nile (“Feverish Stupor” su tutte).
La sfortuna, come mi è capitato altre volte di sottolineare, è che però alla fine sembra di ascoltare una stessa identica canzone ripetuta quattro volte con qualche leggera modifica. Non a caso, la struttura dei brani rimane praticamente la stessa per tutte e quattro le composizioni, peccando forse di originalità. Tentando di menzionare quindi cosa distingue ogni brano, cominciando con “Accursed Clay”, si può menzionare la sezione prima della conclusione del brano, che lascia spazio ad un momento più calmo ma non meno violento che per lo meno spezza il brano.
“The Gift Of Unknowing” si distingue per un assortimento di cambi di riff che vanno a creare quasi un’impressione di confusione; anche il ritmo a volte rallenta. L’asso nella manica viene affidato a due brevi assoli, il primo quasi ipnotico, il secondo appena più strutturato. Il primo però si amalgama al resto della composizione per un’equalizzazione forse non ben curata.
L’introduzione di “Feverish Stupor” viene affidata a qualche tappeto di tastiera che permette di far virare l’atmosfera verso lidi più inquietanti, dal sapore maestoso e regale. Ma poi si torna alla rabbia totale e completa, che si arricchisce di qualche effetto e coro campionato. A parte i già detti momenti più calmi atti ad aggiungere della sana ansia alla composizione, non c’è molto da dire: menzione d’onore alla breve conclusione in cui le chitarre sono le vere protagoniste.
“Elixir” è l’esempio di cosa potrebbero fare veramente i Plague Pit. Oltre alla bella introduzione, sorprende forse il ritmo sostenuto, sicuramente un’innovazione rispetto agli altri brani. Sembra essere l’ideale continuazione di “Feverish Stupor”, considerate le sfumature maestose di cui si tinge. La velocità a cui ci avevano abituato i Nostri finora ritorna solo per qualche breve istante, dando all’ascoltatore una meritata boccata d’aria. Anche qui viene presentato un bell’assolo. Diciamo che dei quattro brani, questo è nettamente il più originale e ispirato.
Completamente da bocciare? Assolutamente no. “Labyrinthine” è chiaramente indirizzato ad un certo tipo di amante del metal, forse addirittura del death metal stesso. Sicuramente i Plague Pit sanno il fatto loro, se siete alla ricerca di qualcosa di veramente crudele avete trovato quello che cercate. Ma alla fine, togliendo i denominatori comuni a tutte le canzoni, rimane poco per colui che invece vuole avventurarsi nell’ascolto di qualcosa di diverso: non è certamente l’ideale per chi vuole cominciare a tastare le acque del genere… Comunque lascia sperare per qualcosa di più, qualcosa che l’ultimo brano in maniera particolare spero abbia promesso per il futuro.