Fare death metal nel 2020 deve essere dura, costantemente in bilico tra l’old school degli anni ‘90, in cui la furia e la cattiveria era tutto, e il technical/brutal in cui la componente tecnica prende il sopravvento, senza snaturarsi dalla cattiveria originale. In queste due “fazioni”, ci sono i centristi, ovvero coloro che cercano di stabilire un ponte tra il passato e il presente/futuro, e i Pestifer rientrano in questa categoria anche per questioni prettamente anagrafiche: formatisi nel 2004 da uno split ancora più precedente (1998), in 16 anni hanno pubblicato 3 album, con il qui presente “Expanding Oblivion”.
Già a un primo ascolto si può capire la creatura biforme che sono: le tematiche fantascientifiche sono di matrice technical death, mentre la musica è un ibrido tra le due fazioni death. La voce del frontman Jerome Bernard è chiaramente di stampo old school, graffiante e abrasiva ma non cavernosa come quella tipica del brutal; la sezione strumentale invece è in costante equilibrio tra le due anime death. E qui risiede l’unico, ma macroscopico difetto di “Expanding Oblivion”.
Ogni canzone possiede quel retrogusto di già sentito: un retrogusto che molto spesso diventa lampante. E in una scena musicale come quella di questo genere, ripiena di band technical death metal dedite al virtuosismo fine a sé stesso e foriera di gruppi che si dedicano a emulare/scopiazzare/trarre ispirazione dai maestri della decade ‘90, distinguersi diventa sempre più importante. Pure la struttura della tracklist ricalca alla perfezione gli stilemi del genere: 11 tracce, 4 intermezzi per rallentare i ritmi, e per evitare che l’ascoltatore venga subissato dalla violenza (e qui nota di merita ai ragazzi, dato che un’ora continuativa di death metal è difficile e impegnativa da sostenere), e la suite finale a chiudere l’opera.
La recensione si può racchiudere tutta in due frasi. Se cercate qualcosa di nuovo, girate altrove: se siete amanti del death, qui troverete tutto quello che volete.
A favore dei Pestifer va detto loro che la componente tecnica non straborda mai, qualsiasi nota e riff cerca di essere destinato alla struttura della canzone e mai all’esibizione della propria tecnica. L’unica eccezione alla regola è “Fractal Sentinels”, brano che risalta in mezzo all’omogeneità circostante: risalta però in maniera negativa, dato che il tecnicismo sembra ricercato continuamente, e il che fa apparire la canzone un pesce fuor d’acqua rispetto alla direzione artistica dell’opera.
Abbiamo citato la parola omogeneità, parola che calza a pennello per definire “Expanding Oblivion”, dato che le tracce risultano spesso l’una simile alle altre, semplicemente prive di spunti per potersi alzare sopra la media. Alcuni spunti interessanti ci sono, come i furiosi blast beat del batterista Philippe Gustin contrapposte alla dissonante chitarre di Balery Bottin: come risultato si ottengono dei passaggi stranianti, in cui la lentezza e la distorsione dell’unica chitarra si contrappone alla velocità del rullante. Da menzionare “Ominous Wanderers”, traccia che sembra costruita perfettamente per movimentare il live, e la title-track finale, in cui si troviamo passaggi interessanti, tra atmosfere che mutano in continuazione e una minima varietà in un songwriting abbastanza coeso e monotono.
Troppo poco per elevarsi sopra la media: i Pestifer compongono un album onesto, ben suonato, dalle ottime intenzioni, ma che annaspa nel già sentito, nei soliti stilemi, ma che soprattutto cade nel tranello più grande, ovvero il voler dare equilibrio tra una fazione e l’altra. Ecco, il risultato è un disco né carne né pesce, né old school né tecnhical death metal. Un disco da amanti del genere, chi ricerca sperimentazioni ripassi la prossima volta.