PARADISE LOST – Ritorno al passato

by pizzu & Alessandro Schumperlin

In occasione della premiere di “Medusa”, che uscirà a settembre su Nuclear Blast, abbiamo avuto l’occasione di fare quattro chiacchere con Greg Mackintosh, chitarrista e fondatore dei pionieri del Gothic Metal Paradise Lost. Buona lettura!


Ciao Greg, grazie di essere qui e benvenuto su Metalpit!

Ciao a voi!

Parlaci un po’ di Medusa, che uscirà a settembre. Abbiamo avuto la possibilità di ascoltarlo e sta continuando con un ritorno alle prime sonorità dei primi Paradise Lost: che ci puoi dire?

Sai, molti fan dei Paradise Lost mi hanno fatto chiesto se il nuovo album sia una via di mezzo tra “Gothic” e “Shades of God”. In realtà possiamo dire che è frutto di tutto quello che abbiamo imparato negli anni, ma sì, c’è una ragione per cui l’album è così com’è: “Shades of God” è sempre stato uno dei miei album preferiti, soprattutto per il suono, ma normalmente nessuno ne parla mai più di tanto perché tutti parlano sempre di “Gothic” e di “Icon”. Tra le ultime canzoni che scrivemmo ci fu “Beneath Broken Earth” che è veramente un gran pezzo Doom… ma proprio Doom. Ci piacque e ci siamo detti “perché non fare un album così?” e così abbiamo trovato l’ispirazione per tutto.

E dei fan che mi dici? Come pensi affrontino la cosa?

Sono abbastanza sicuro che i fan si aspettassero qualcosa come “Draconian Times” o simile. Ma sai, ormai suoniamo da tanto tempo, abbiamo fatto molti album anche molto diversi tra di loro, ma non puoi piacere a tutti sempre. Innanzitutto devi divertirti tu, altrimenti vivresti nella tua stessa storia.

Questa evoluzione per alcuni è stata forzata, per altri è stato un percorso naturale. Tu cosa ne pensi? O meglio, è stata una evoluzione naturale oppure un “ok, devo fare questo pezzo, questo, così…”?

Quello non l’abbiamo mai fatto! Anche perché facendo così sarebbe un songwriting molto “cinico”, capisci? Così facendo tutto diventa una merda e nemmeno ti riconosci più. La motivazione per cui l’album è cosi com’è, è perché fare “Beneath Broken Earth” ci ha divertito oltre ogni immaginazione, e ci siamo sentiti in grado di fare un’intero album così. Abbiamo provato e, nel limite delle nostre potenzialità, lo abbiamo fatto. È un azzardo, ovvio… non saprai mai cosa i fan vorranno in quel preciso istantee  la scena musicale cambia di continuo. Guarda “Draconian Times” per esempio, fu un grandissimo successo, ma pensa se fosse uscito quattro anni prima, o quattro anni dopo… probabilmente non avrebbe avuto lo stesso tiro, non trovi? Pensa agli Iron Maiden… fossero usciti 10 anni dopo ora non sapremmo nemmeno chi sono! In fondo 10/15 anni prima suonavano solo in piccoli locali in città. Ora, beh… lo sappiamo no? [ride ndr]

Il lavoro col tuo side project, i Vallenfyre, ha influenzato in qualche modo gli ultimi lavori dei Paradise Lost?

No, devo dire che li tengo molto separati come progetti. Posso anche dire che ho lavorato ai Vallenfyre mentre stavo scrivendo per i Paradise Lost. Quello che, personalmente, me li divide molto sono le sensazioni e il feeling che c’è dietro. Quando scrivo per i Paradise Lost la malinconia la fa da sovrana, al contrario, coi Vallenfyre è la rabbia. I Vallenfyre tirano fuori l’adolescente che è in me. [ride ndr]

Medusa sarà il quindicesimo album dei Paradise Lost, dopo tanto tempo siete ancora i pilastri del Gothic Metal. Ne sentite la pressione?

Qualche pressione dici? Sì, combatto con la pressione che un pilastro può avere! [ride ndr] Si fa quello che si fa e poi guardiamo il risultato. Non ci fermiamo spesso a guardare il passato, ormai è andato. Anzi, a dirla tutta anche il guardare in avanti… mi preoccupa sapere cosa succederà settimana prossima, e quella dopo ancora. Sostanzialmente non abbiamo progetti per il futuro, ci facciamo trainare dal momento!

Nel 1990 uscì il vostro debutto “Lost Paradise” con cui avete, insieme ad altre band, dato vita all’ondata Gothic Metal di fine secolo, personalmente direi la vera ondata di Gothic. Ad oggi cosa è cambiato nella scena in generale ai tuoi occhi?

Bhe, è diventato molto commerciale: cioè, se vai da un ragazzino a chiedere del Gothic Metal, questo ti rispondera Nightwish, Marylin Manson… noi siamo stati i primi a definire la parola “Gothic Metal” ed ad influenzare altri. Tipo i Lacuna Coil, che poi hanno influenzato gli Evanescence, che a loro volta avranno influenzato qualcun altro [ride, ndr]. Il Gothic Metal che avevo in mente era qualcosa di triste, depresso… adesso è diventato qualcosa di romantico, sentimentale.

Con tanto di vampiri che brillano al sole!

Esattamente! [si ride ndr]

Cosa, secondo te ha fatto deviare molti metalheads, che seguivano il genere, verso altri orizzonti musicali?

Credo che sia semplicemente una questione di moda, sai? Per esempio, quando io mi avvicinai alla musica era il primo hardcore punk che stava diventando metal, e questo mi ha “segnato”, è un bagaglio che mi porto dietro perché sarà il tuo “primo amore”. Coi Paradise Lost siamo sempre stati un po’ borderline, non ci siamo mai tuffati in un filone piuttosto che un altro. Siamo sempre rimasti fuori dalla guerra stile “il mio genere è meglio del tuo”. Abbiamo fatto il nostro. Se fai quello che ti piace e non ti preoccupi del resto, saprai quando stai andando fuori strada o no!

Ci possono essere punti di connessione tra “The Plague Within” e Medusa”, ovviamente a parte il fatto che è vostro, e cosa li distanzia?

La connessione è il pezzo “Beneath Broken Earth”. Questa canzone è il collegamento più diretto tra i due album e che li trascina nella stessa direzione, un po’ come “As I Die” è l’anello di giunzione tra “Gothic” e “Shades of God”. In questo “Medusa” abbiamo seguito una via diversa, quasi a voler riprendere un sound vecchio, a partire dal suono… senti anche tu quel “rumore”? Ecco, credo sia questo “rumore” ciò che rende unico “Medusa”. Ma anche ogni singola canzone… ognuna suona a modo suo, si può dire che sia unica. Non come gli album di adesso, che mi danno la nausea: se li senti suonano tutti uguali, la batteria tutta perfetta e piatta, le chitarre tutte radio-friendly con lo stesso sound casalingo… ogni pezzo è solo “un altro pezzo”, non riesci a dargli un’identità. Manca quell’errore, se così vogliamo chiamarlo, che fa restare ad ascoltare il pezzo rendendolo interessante.

Pur non volendo svelare nulla del nuovo lavoro, ho notato che non vi è un vero e proprio concept, strettamente detto, dietro a Medusa a livello di testi, come mai questa scelta? Nel senso, ultimamente troviamo molte band che fanno un concept velato che parte con la prima traccia e si conclude con l’ultima. Voi avete scelto di fare altro, nuova rottura con la “normalità” oppure semplice casualità?

No, non c’è un vero e proprio concept dietro “Medusa”. Ogni canzone nasce e si sviluppa in modo singolare, senza fare connessioni particolari con le altre. Poi credo che il concept renda poco “personale” l’intero album. Forse perché non trasmette la stesse sensazioni che un album “eterogeneo” poterebbe trasmettere, in ogni momento potresti trovare l’emozione di cui hai bisogno in quel momento. Nello specifico, in questo album, se leggi i testi vedi che il filo conduttore del tutto è un legame molto nichilista con la realtà di oggi.

Bene, direi che è tutto. Hai qualcosa da dire ai nostri lettori?
Grazie di essere ancora interessati a noi dopo 29 anni! Ciao Metalpit!

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