I Palaces sono un gruppo americano nato ad Atlanta che ha esordito nel 2012 con “Tarnish“, per poi andare in pausa due anni dopo. A otto anni di distanza dal disco di debutto sono tornati in studio per registrare “Hellas Chasma“, l’album che andremo ad analizzare qui. Si tratta di hardcore punk grezzo, avendo come influenze gruppi come i Converge, i Light Pupil Dilate e i gruppi punk inglesi anni ’80. Il prodotto è di impatto, con linee veloci ma sonoramente sporche e pesanti per chitarre e basso, una batteria forsennata e una voce scatenata e gracchiante, e nel complesso viene conservata una minima parte melodica che non guasta. Si tratta di un album lineare e uniforme, senza particolari fronzoli o derive, con canzoni che vanno dai 3 minuti scarsi ai 7 per una durata complessiva di circa 37 minuti.
Tra le canzoni rilevanti:
- “Swarm“: prima canzone dell’album. Si tratta del pezzo più breve, e in meno di 3 minuti mette in chiaro cosa ci si deve aspettare. Riff rapidi, voce gracchiante e urlante, strumenti distorti senza ritegno e una batteria inarrestabile sono sicuramente un ottimo biglietto da visita.
- “Isle of Palms“: quinto pezzo. Un brano inconfondibile, anche grazie ad un lungo intermezzo parzialmente strumentale e parzialmente melodico ad un ritmo relativamente più lento rispetto al resto della canzone, che crea un’atmosfera angosciante e leggermente malinconica.
- “Wedge Hammer“: settima canzone. Il brano più lungo dell’album, e si può dire che ha un po’ di tutto riguardo il repertorio dei Palaces, specialmente per quanto riguarda riff con più distorsione che note e parti più calme e vagamente melodiche. Divaga tanto, allargando dove non serve particolarmente e tagliando riff che potevano benissimo essere allungati, ma alla fine è abbastanza accettabile.
Rispetto all’album precedente si è mantenuta quell’atmosfera cupa e angosciante, anche se viene definita molto di meno. In compenso i pezzi hanno registrazioni più sporche e un mixaggio più grezzo, aggiungendo poi parti più pestate e brutali di quelle presenti in “Tarnish”, anche se piuttosto circoscritte. Si sente che sono passati degli anni, ma non così tanti come su carta, e lo stile è ben definito anche se leggermente in evoluzione. Per riassumere, entrambi gli album hanno pro e contro, ma il primo rendeva l’atmosfera molto di più, mentre il secondo ha parti interessanti ma non sfruttate al massimo.