I Pain sono il progetto secondario del leader degli Hypocrisy Peter Tägtren, anche se i primi ormai sono più attivi dei secondi e Coming Home è il loro ottavo disco in studio, successore del criticato You Only Live Twice. Tra i due dischi Peter si è tenuto impegnato con i Lindemann, side project del cantante dei Rammstein, con il quale ha rilasciato un album. La vicinanza con il frontman tedesco ha senza dubbio giovato alla vena compositiva di Tägtren: nella nuova fatica dei Pain, infatti, si sentiranno più volte le influenze della band tedesca, soprattutto nei pezzi più rapidi come Pain in The Ass e Call Me.
Attorno a Coming Home dunque c’era molta curiosità, per vedere se la band avesse invertito la rotta o meno. Il disco è molto immediato, divertente e si può dire che abbia due anime: una industrial che viene fuori in pezzi come Black Knight Satellite e Call Me, e una più hard rock come si nota in A Wannabe e nella titletrack. Il mix tra le due parti comunque funziona, anche se sono proprio i pezzi più lenti a rivelarsi i più interessanti. Nel complesso Coming Home suona comunque fresco e ispirato, anche se ha un calo qualitativo nel finale con gli ultimi pezzi che non si rivelano propriamente all’altezza. I brani che compongono il disco sono tutti molto catchy, tanto che sarà difficile non ritrovarsi a canticchiare i ritornelli dopo un ascolto. Tra gli apici del disco vi sono senza dubbio le già citate A Wannabe e Call Me, dove compare anche Joakim Brodén dei Sabaton per un duetto inconsueto, ma estremamente godibile e divertente. Un valore aggiunto al disco è dato dalla orchestrazioni le quali non risultano mai invadenti e si rivelano sempre di buon gusto.
Coming Home dunque nel complesso diverte e segna il ritorno dei Pain; non si tratta sicuramente del disco dell’anno, ma probabilmente potrebbe diventare un ottimo “party album” grazie alla sua semplicità e alla sua spensieratezza.