Gli svedesi Ofdrykkja ritornano il 29 novembre con il loro nuovo album, “Gryningsvisor”, per AOP Records. Un album che racconta moltissimo, a partire dal titolo (“Ballate all’alba”), che rappresenta una sorta di rinascita per i membri della band, pur rimanendo fedeli al loro genere di appartenenza.
Per capire questo meraviglioso album, è necessario partire dalla travagliata vita della band. La storia degli Ofdrykkja può essere tranquillamente paragonata a quella di una Cenerentola malata e tossica. I tre membri che compongono la compagine –Drabbad, Ahlström e Pessimisten– provengono da un passato di abuso di droghe e alcol, oltre che di malattie mentali; tutto questo è la ragione dietro il primo album del 2014, convenientemente intitolato “A Life Worth Losing”. Rappresentanti di un depressive black metal mescolato a del delicato atmospheric, questa prima produzione probabilmente ricade più sotto la prima etichetta che la seconda, anche sicuramente grazie all’uso di lancinanti urla di dolore e disperazione.
Il fondo viene toccato quando Drabbad viene freddato dalla polizia e incarcerato per tre anni per via di reati legati alla droga. I testi del secondo album, “Irrfärd” (“Viaggio senza meta”) del 2017, nascono proprio in carcere, e nonostante il titolo i membri compongono le musiche di questo lavoro con la speranza di poter ritrovare la via giusta. Non a caso il disco si tinge di un dolcissimo lato atmospheric, delicato e malinconico; un primo cambiamento, un primo tentativo di ritrovare la luce nel buio, composto di brani molto lunghi e introspettivi. Subito dopo la sua uscita, Pessimisten parte per un lungo viaggio alla vera ricerca di stabilità. Drabbar rimane sobrio sia da droghe che da alcol a partire dall’incarcerazione, così come Pessimisten, che ritrova anche il controllo sulle sue malattie mentali. Da tutto questo nasce il bellissimo “Gryningsvisor”: l’alba è qui, e i tre si sono finalmente svegliati. Come da loro stessi affermato, gli Ofdrykkja sono una sorta di terapia, un tentativo di evolversi e migliorare; da qui anche l’evoluzione musicale.
“Gryningsvisor” è una piccola perla di DSBM di vecchia scuola (non aspettatevi una produzione cristallina e perfetta, anzi), inframmezzato da una delicatezza disarmante, una malinconia speranzosa che veramente dimostrano quanto questo cambiamento tanto atteso sia stato necessario per i tre componenti. I dodici brani che lo compongono possono essere idealmente suddivisi fra le due categorie prima elencate: ad esempio l’iniziale “Skymningvisa” e la conclusiva “Gryningsvisa” si piazzano nella zona atmospheric. Sono meravigliosi brani strumentali decisamente introspettivi, chitarra acustica e leggiadri tappeti di tastiere sembrano veramente descrivere i raggi di un’alba appena cominciata, quando la luce è ancora debole ma sembra già rischiarare tutto ciò che la circonda.
A fare loro compagnia “Ensam”, un intermezzo a loro molto simile a cui si aggiunge la delicatissima ed eterea voce femminile di Miranda Samuelsson, la quale ritorna anche in “In I Natten”, brano che segna la metà dell’album ed è quasi una ninna nanna di chitarre acustiche. Si aggiunge anche una splendida versione della canzone tradizionale svedese “Herr Mannelig”, che nella sua infinita malinconia si trascina per quasi sette minuti: la cantante fa un lavoro assolutamente ottimo assieme all’accompagnamento acustico e ai tappeti di tastiere.
Nella zona più “aggressiva” si piazzano invece la bellissima “The Swan”, un brano in mid-tempo accompagnato da cori profondi e un growl doloroso; un assolo sfuggevole e un piccolo intermezzo più calmo danno spazio ad un momento più rabbioso ma ancora malinconico. Qui appare per la prima volta nella produzione il cantato femminile.
“Swallowed by the Night” appare come un piccolo inno al passato, cantato dal growl quasi faticoso di Pessimisten, a cui la voce femminile fa da eco in una nenia meravigliosa e fragile. Nonostante abbandoni la violenza tipica del black, ricade sotto un DSBM tristissimo e a tratti sognante.
“Wither” è un piccolo gioiello, con un’introduzione che pare non rientrare affatto nei dettami del genere; l’aggiunta di parti di tastiere ad un growl lancinante e sofferente potrebbe far venire alla mente qualche grande nome. Bellissimo l’assolo in distorsione che occupa circa la metà del brano; si dà spazio anche ad un assolo di chitarre acustiche prima del brusco ritorno del cantato.
Un altro piccolo capolavoro è “As The Northern Wind Cries”, delicatezza e puro dolore si sfidano ancora: praticamente le chitarre elettriche sono puro sottofondo in favore di leggiadre acustiche e un violoncello campionato. Ma poi questi due strumenti così diversi ma uguali vanno a braccetto eseguendo lo stesso riff mentre la voce è accompagnata da un inaspettato pianoforte di poche note: l’atmosfera sembra diventare glaciale, amplificandosi.
“Varå Minnenas Klagosång” potrebbe classificarsi nella zona atmospheric, se non fosse per quella minacciosa chitarra acida in sottofondo e il ritorno imperante del cantato disperato; la chitarra si rivela essere la protagonista, slanciando la canzone in un gelido mid-tempo che sembra durare molto meno dei suoi quattro minuti.
La bella “Köldvisa” lascia pensare sia una strumentale fino ai due minuti, tramutandosi poi un brano aggressivo ma fragile, è ancora la voce a sottolineare il dolore e la disperazione.
“Grey”, con i suoi otto minuti che non sembrano affatto tali, è la vera conclusione dell’album. Il glaciale DSBM di cui si tinge richiama la lezione impartita da “Wither”; la metà del brano si contraddistingue per un momento pesante in cui chitarra elettrica e tastiera si parlano con delicatezza. Sarà il growl a spaccare quest’attimo sognante; appare la doppia cassa e si ritorna alla sofferenza. Si conclude in sordina: lo scroscio assordante della pioggia accompagna le ultime leggiadre note di tastiera, che scompaiono completamente in un grigio giorno piovoso.
Diciamocelo: non brilla certamente per fantasia, e alla fine dei conti sembra anche fin troppo ripetitivo, ma “Gryningsvisor” ha il problema di essere veramente, veramente bello nonostante quelli che io ho sempre sottolineato come i più grandi difetti in altri album recensiti. Sarà la storia che lo precede, saranno le atmosfere meravigliose che dipinge, non ve lo so dire, so che è bello. Tanto bello. È veramente imperdibile per gli amanti di un DSBM che non ha paura di mostrare dei lati deboli, delicati, sognanti e speranzosi: è veramente un inno alla rinascita, pur sempre sporca di quella che è la verità: la tristezza non ci abbandona mai veramente del tutto, non esiste positività senza negatività e viceversa, la felicità è un concetto difficile che ben pochi possono dire di raggiungere davvero. Eppure l’alba arriva per tutti, prima o poi, anche nelle situazioni più disperate e senza via di fuga: questo insegnano gli Ofdrykkja. Merita davvero un ascolto per un viaggio introspettivo e di riflessione, o come accompagnamento ad una domenica pomeriggio di pioggia e vento (come quella in cui sto scrivendo questa recensione, del resto), sta di fatto che si può dargli una possibilità. Non ci rimane che aspettare che quest’alba non diventi veramente una luminosissima giornata di sole.