Quest’oggi parliamo di uno dei dischi più attesi di questo 2017, “Urn“, terza fatica degli australiani Ne Obliviscaris. La band muove i primi passi a Melbourne nel 2003, ma debutta (col botto) solo nel 2012 con “Portal of I”, in seguito a vari cambi di formazione che hanno caratterizzato i primi anni. Il disco riscuote subito un discreto successo, portando alla firma con Season of Mist che due anni dopo pubblica “Citadel”, anch’esso apprezzato particolarmente dalla critica. “Urn” arriva nel momento di maggior successo per il gruppo ed è in grado di attirare molta attenzione su di sé per svariati motivi.
In primis, dopo un inizio di carriera sorprendente, è arrivato il loro momento di confermare il proprio talento, senza farsi influenzare o intimorire dalla fama istantanea ricevuta in un lasso di tempo così breve.
Inoltre, la separazione dal bassista Brendan Brown ha suscitato molto scandalo tra gli interessati, essendo le sue linee di basso in grado donare un tocco di originalità in più a una proposta già particolare di suo.
Chiariamo fin da subito, però, che quest’ultimo fattore non ha influenzato negativamente il tutto, visto l’ottima collaborazione con Robin Zielhorst, che ha evitato di far sentire la mancanza del collega.
Dopo aver contestualizzato il disco, passiamo ora all’analisi di ciò che viene proposto: i Nostri continuano sulla strada che li ha caratterizzati fin da subito, con il loro Death Metal dalle infinite influenze, caratterizzato dal contrasto tra melodia e potenza, dalla voce soave di Tim Charles alternata al growl freddo e impenetrabile di Xenoyr alle quali si uniscono il talentuoso Daniel Presland alla batteria e la coppia formata da Benjamin Baret e Matt Klavins alle chitarre.
“Libera (Part I) – Saturnine Spheres” apre le danze, e mostra subito come le appena citate parti vocali raggiungano una qualità eccellente all’interno dell’album, come vale per i vari strumenti, ben equilibrati tra di loro. Altra caratteristica del sound Ne Obliviscaris è il violino dello stesso Tim Charles, che a differenza dei precedenti lavori viene chiamato in causa meno volte, ma con risultati più efficaci, come in “Intra Venus“, quando prende il posto della chitarra durante l’assolo. L’ascolto continua con “Eyrie“, brano più melodico del lotto, che rimanda inizialmente a “Forget Not” (dal loro debutto, “Portal of I”) per la struttura, partendo con un’intro in acustico accompagnata dal violino e le clean vocals, molto più presenti del growl che apparirà solo in un secondo momento, per poi evolversi in un pezzo dalle nette sfumature Progressive.
Queste sfumature sono presenti anche in entrambe le parti della title-track: specialmente nella seconda, posta in chiusura, che risalta per la varietà proposta e per l’alone misterioso che l’attornia, che dona alla composizione un tocco oscuro non indifferente.
Nonostante giudicare “Urn” sia difficile, è da dire che le aspettative che gravavano su di esso sono state rispettate: i Ne Obliviscaris hanno raggruppato in questo album svariati elementi del loro repertorio, evolvendo il proprio sound e mostrando le loro capacità compositive e le doti nell’affrontare un genere in modo unico.
A primo impatto il disco potrebbe risultare meno ispirato e posto un gradino al di sotto rispetto alle fatiche precedenti, visti i vari cambiamenti affrontati, ma ascoltandolo con più attenzione se ne ricava l’effettivo valore.
Tracklist:
1. Libera (Part I) – Saturnine Spheres
2. Libera (Part II) – Ascent of Burning Moths
3. Intra Venus
4. Eyrie
5. Urn (Part I) – And Within the Void We Are Breathless
6. Urn (Part II) – As Embers Dance in Our Eyes