Il vasto panorama underground è sempre pronto ad accogliere i nuovi arrivati: è il caso di MEGHISTOS ovvero un progetto nato dalla mente del polistrumentista Paolo Cappella nei primi anni ’90 ma ufficializzato nel 2017. Si tratta appunto di una one man band che il 7 Gennaio ha dato alla luce il suo debut album “The Evil Sound of Hidden Demons”, il quale tiene fede al death metal grezzo, sanguigno, trafitto da un growl sporco e maligno, pur con delle varianti.
In apertura il breve e flebile squillo di trombe di “Hidden Orchestra” è il preludio che viene spezzato da un sound devastante a base di blast beat, affiancato da massicci riff di chitarra che risentono dell’influenza black, tortuosi assoli, linee di basso spiazzanti e laceranti linee vocali dove il growl a tratti è grezzo e gutturale oppure estremamente marcio e strozzato, tipicamente black. Sulla stessa linea compositiva procedono “Agramon” e “Ose”, un death-black spigoloso, smussato solo dalla melodia conferita dalle sei corde, cosa che nelle giuste dosi troviamo in tutto il disco. Infatti in “Seductress” la violenza del death regna sovrana finchè il finale va in decrescendo con l’aggiunta di arpeggi armonici, mentre in “Nasu” i primi 30 secondi sono note placide che vengono poi spiazzate dal ritorno delle sonorità feroci, inoltre questo brano vanta la partecipazione del portentoso Andy Panigada, chitarrista dei Bulldozer, il quale sfocia in un folgorante assolo.
“Scapegoat” è di stampo black truculento dai ritmi serrati che, in alcuni punti, scivolano divenendo tenui con sonorità languide dando un tocco atmosferico, come se l’artista volesse far riprendere fiato all’ascoltatore, prima della mazzata finale. L’introduzione dagli spunti melodici la troviamo anche in “Asmodeus”, l’iniziale basso pulsante sprigiona poi ritmiche affilatissime, ma l’assolo finale è accompagnato addirittura da dolci parti corali.
“Invocation For Revenge By Torture” riprende il filone black con un malinconico intermezzo doom, che va in crescendo riprendendo poi il sound da schiacciasassi. Infine “The Demon Inside” rappresenta il classico calcio sui denti, per chiudere in bellezza (anzi, in durezza) un buon disco death che abbina l’aggressività con varianti black e melodiche, il quale denota la voglia e dedizione da parte di Paolo Capella nel mettersi in gioco, ottenendo un buon risultato.