I Lysithea sono un duo neozelandese nato nel 2010 come progetto singolo di Mike Lamb (Sojourner), giunto all’esordio con l’EP “The Shadow at the Bottow of the World” due anni dopo, con il primo full length arrivato nel 2013. In seguito si è aggiunto Mike Wilson, già compagno di band di Lamb negli Undoing the End e nei stessi Sojourner. Dal 2014 in poi hanno pubblicato un EP e tre album, tra cui questo “Star Crossed“. Si tratta di un melodic death metal lento, con cadenze e atmosfere doom, raggiunte grazie anche all’uso delle tastiere. I riff delle chitarre sono più tipicamente death, a cui si aggiungono le già citate tastiere che hanno anche un che di symphonic. I ritmi in questo lavoro si sono fatti più lenti, non tanto a livello di bpm ma per via delle note leggermente allungate e del ritmo della batteria, troppo tranquilla per essere death e troppo veloce per essere doom. A completare il tutto la voce in growl pesante che ricorda gli Unbowed. Sono presenti sei pezzi di una lunghezza tipica del doom, dai quattro minuti e mezzo ai dodici, per una lunghezza complessiva di quasi 47 minuti che a tratti pesa parecchio, non essendoci melodie a compensare e a causa delle ritmiche fin troppo omogenee, al punto che si fa fatica a distinguere le canzoni.
Tra i pezzi rilevanti:
- “Away“: seconda canzone dell’album. Se si dovessero riassumere i pregi di questo gruppo, questa è la canzone adatta. Groove ottimale, atmosfere malinconiche, parti rapide e lente intrecciate bene e tecnicismi melodici con le chitarre in sette minuti e mezzo che non pesano, a differenza di altri pezzi.
- “Fever Dreams“: ultimo brano. Dura dodici minuti abbondanti e conclude bene una china che si stava ammosciando con riff pesanti e lenti ma ritmati, così come passaggi da parti più pacate ad altre più vivaci e melodiche che hanno una buona presa.
Rispetto alle opere precedenti le atmosfere sono da post metal, e la trasformazione da progetto individuale a duo non ha apportato enormi differenze, se non aumentare la componente death oltre che il passaggio da pezzi strumentali a canzoni con un testo. Purtroppo si è sacrificata la velocità che faceva capolino soprattutto in “Secret Fate of all Life”, ma nel prodotto finale sono presenti parti noiose, soprattutto nella seconda metà, con i riff un po’ sottotono. Per riassumere, non è un album leggero né il migliore realizzato dal gruppo, ma rimane comunque godibile per le atmosfere cupe e malinconiche e l’incastro tra parti death e altre più tranquille su una base doom.