In molti anni di “onorata” carriera come ascoltatrice di musica, ho notato che qualunque cosa provenga dall’Asia viene perlopiù guardata con enorme sospetto, in ogni campo e genere musicale. Se la band asiatica in questione si propone di fare metal di qualità, il metallaro occidentale medio si mette subito sulla difensiva. A parte gli intoccabili e intramontabili X Japan e Loudness, ci sono altre band che hanno tentato l’approccio con l’Occidente, riuscendoci o meno, e il dibattito è aperto e infuocato.
È impossibile non citare lo scalpore che fecero a loro tempo le Babymetal, amate e odiate, innalzate e derise; un’opinione unanime non c’è anche se grandissimi nomi del “nostro” metal hanno dichiarato il loro appoggio. Dal canto mio posso dire di ascoltare rock giapponese da ben dieci anni, eppure le Babymetal non mi hanno mai convinta: un fattore che mi allontana pesantemente dall’approcciarmi del tutto alla loro musica sono le parti vocali, più adatte a un gruppo idol che non a una band metal. Non posso però negare la qualità musicale e specialmente il loro successo: semplicemente non fanno per me e non ne farò mai con nessuno una questione di Stato.
Quindi, quando le agenzie specialmente straniere hanno iniziato a pubblicizzare il nome LOVEBITES, immaginavo fossero una cosa molto simile alle più famose colleghe nipponiche. Non senza soddisfazione posso dire che le due cose distano anni luce fra loro. Intendendomene quello che basta, posso dire che le differenze sono molteplici: le une cantano in giapponese mentre le ragazze in esame hanno scelto la lingua inglese – con la premessa che la cantante Asami ha una buona pronuncia e capacità grammaticali, forte di un periodo in cui ha vissuto negli Stati Uniti, prima del ritorno in Giappone.
Innegabile la differenza sul palco: mentre le Babymetal hanno una band alle spalle e le tre ragazze cantano, le nostre LOVEBITES hanno dimostrato che sono loro a suonare. Non ci sono musicisti fantasma in studio, perché quasi tutte loro suonavano in una band precedente, come le Destrose, gruppo heavy metal tutto al femminile che stava riscuotendo un discreto successo in patria prima dello scioglimento. La stoffa c’è, quindi, seppur nascosta sotto splendidi costumi candidi, unica testimonianza della tradizione giapponese di avere un look pensato per ogni uscita musicale, con cui poi la band si dovrà presentare anche in sede live. La questione del look rimane fondamentale nel mercato asiatico, che la cosa piaccia o no, e questo, all’occhio del metallaro occidentale, è già un segnale di pericolo. Secondo me la guardia si può abbassare eccome.
Sin dal loro primo EP e album “Awakening from Abyss”, le LOVEBITES propongono il più puro del power/heavy metal; le tastiere sono state sostituite da assoloni di chitarra da capogiro, e l’usuale voce maschile che tocca vette altissime è sostituita da una bellissima voce femminile che sa il fatto suo. Le ispirazioni delle cinque ragazze sono ovvie: si spazia particolarmente fra Iron Maiden e DragonForce, con qualche strizzata d’occhio ad altre band ben conosciute. Non è da trascurare il fatto che i finlandesi Mikko Karmila e Mika Jussila (i quali lavorarono a loro volta per Nightwish, Amorphis, Children Of Bodom) partecipano ai lavori dietro le quinte dei loro album. A livello pratico, sicuramente niente di nuovo viene messo sul tavolo, le carte sono quelle e le nostre se le giocano bene. Un grande appassionato di power potrà sicuramente trovare ciò che cerca.
Con “Clockwork Immortality” le premesse e promesse rimangono tutto sommato le stesse. Le LOVEBITES ci offrono quasi un’ora di velocissimo heavy/power metal, in sicura evoluzione rispetto all’album precedente. Con una media di quattro/cinque minuti a brano, andiamo ad analizzarli uno a uno.
Si attacca con “Addicted”: si sente una certa influenza Maideniana per tutta la durata della canzone. Chitarre acustiche dal sapore epic ci accolgono, dileggiandosi in qualche virtuosismo prima di lanciarsi in un riff a tutta velocità. Il ritornello sembra studiato per trascinare una grande folla dal vivo, e i primi di tantissimi assoli stupendi si profilano prima del finale. È indiscutibile che la coppia di chitarre costituita da Midori e Mi-ya (quest’ultima realizzatrice anche dei tappeti di tastiere presente nello svolgersi dei brani) sappiano ben maneggiare i loro strumenti. Segue “Pledge Of The Saviour”, che parte subito al massimo con un trascinante riff, creando una canzone puramente power metal. Alcuni interessanti fill di batteria a opera di Haruna arricchiscono un brano trascinante e di piacevolissimo ascolto.
“Rising” è sin dalle primissime note un inno power dei più classici, sorprendendo però con una strofa semplicissima e affidata alle chitarre in palm mute. Il ritornello è di nuovo trascinante e da concerto, uno di quelli da cantare in coro con la band. A metà del brano un’interruzione che mette in risalto voce e pianoforte concede del respiro, ma il brano ancora non riparte, permettendo un breve attimo di calma apparente. La conclusione viene affidata ad altri bellissimi assoli e al ritornello ripetuto più volte. “Empty Daydream” è di chiarissima ispirazione Maideniana, veleggiando più verso l’aspetto heavy dello spettro, dove le LOVEBITES sembrano davvero fare un tributo alla formazione inglese, con un brano che sembra quasi sfuggito alla discografia dei mostri sacri del metal. Unito comunque con un tocco indubbiamente personale, ne risulta in breve una canzone molto carina e scorrevole.
“Mastermind 01” infuria sin da subito, rimanendo nei limiti dell’heavy metal. Asami sceglie alcune delle note più basse che può raggiungere, e il ritmo serrato che caratterizza la canzone viene mantenuto costantemente. Le chitarriste mostrano di nuovo le loro abilità, spezzando il brano, che rimane comunque un ascolto piacevole e di tutto rispetto. A metà troviamo “M.D.O.”, e anche questa canzone parte infuocata, riportandosi sullo spettro del power metal: un bellissimo riff e la batteria imperversante incitano all’headbanging. Un ritornello incalzante e ripetitivo sembra di nuovo volerci riportare ad un clima da concerto, portandoci quasi ad immaginare il pubblico ripeterlo ad alta voce e con il pugno alzato. Verso la conclusione, il ritmo viene interrotto e rallentato per un breve attimo di respiro, riprendendo solo poi al massimo.
“Journey To The Other Side” ci riporta verso l’heavy, con un riff molto interessante; la canzone è probabilmente la più “calma” di quelle ascoltate finora, non gettandosi in velocità spaventose ma mantenendo un ritmo abbastanza cadenzato. Allo stesso tempo è forse il brano più anonimo dell’album, rimanendo pur sempre un bell’ascolto. “The Final Collision” inizia melodica, preannunciando un brano più puntato sul power; le chitarre decisamente lanciate ce lo confermano. Nello svolgimento, si dimostra invece un punto in comune fra i due generi, dando vita ad una canzone molto bella, una delle migliori ma anche più orecchiabili dell’album.
“We The United” è probabilmente la composizione da cui di più si è attinto dai Dragonforce, proponendo una canzone power metal nel vero senso del termine. Nel ritornello infatti si sente forte e chiara l’epicità tipica dei grandi inni power di ieri e di oggi, un ascolto indubbiamente imperdibile per gli amanti del genere. La canzone più lunga dell’album, “Epilogue”, stravolge completamente quanto ascoltato finora regalando all’ascoltatore una ballata leggerissima, estremamente melanconica. Finalmente qui spunta Miho, la bassista e leader del gruppo, che per tutto il resto dell’album è rimasta come gradito sottofondo, non mostrando mai le sue abilità. Solo verso la metà del brano un leggerissimo attimo più veloce spezza un po’ la canzone, ma rimane più o meno la stessa fino alla fine.
Tirando le somme, “Clockwork Immortality” è davvero un bell’album, che propone sì quanto di più affine ci sia ai “parametri” dei generi heavy e power metal, ma con un tocco personale che permette di apprezzarlo molto di più. Un plauso va all’assenza totale di quelle che io definiscono “sigle di anime”, o meglio quelle canzoni che, specialmente da parte di band giapponesi, potrebbero essere tranquillamente usate come sigla del cartone animato in voga al momento (si rimanda all’ascolto di “The Hammer Of Wrath” da “Awakening from Abyss” per capire di cosa sto parlando). Quindi è indubbiamente un ottimo punto di svolgimento per le Lovebites, l’importante è non farsi ingannare da quei bei faccini: la stoffa c’è, e sono sicura diventerà man mano sempre più pregiata.