Nati come band con più componenti nel 1997, i Liturgy of Decay sono oggi un progetto solista del polistrumentista Iokanaan. “First Psalms (Psalms of Agony And Revolt – First and Early Shape)” è uscito lo scorso 15 ottobre per l’etichetta D-Monic e si presenta come un progetto ambizioso corredato da un lettore multimediale specifico e un manifesto nel quale si spiega l’origine di questa musica. Col primo vengono evocate immagini e testi a ritmo di musica, mentre col secondo si tenta di far immergere ancor di più lo spettatore in quella che vuole essere un’esperienza spirituale e ipnotica.
Quello che abbiamo sono 10 tracce in stile gothic metal, contaminato da influenze di gruppi quali Dead Can Dance, The Cure, The Sisters Of Mercy, Elend, Paradise Lost, Samael, Moonspell e Tiamat. Il cantato è liturgico, sofferto come da intenti, e sempre accompagnato da clavicembali e organi campionati. Le chitarre si dividono tra riff pesanti, spesso ben rinforzati dalla batteria, e melodie arricchite di delay e riverberi. Meno efficace il comparto artwork, un po’ raffazzonato, così come deboli appaiono le venti e oltre pagine di manifesto (non per i concetti espressi, quanto per il modo prolisso di esporli).
Va subito detto che l’impostazione del cantato, spesso simile a una vera e propria litania, non è per tutti gli orecchi e quindi potrebbe, alla lunga, infastidire. Superato questo scoglio, Iokanaan riesce a creare un tipo di atmosfera molto particolare, un rituale che incatena l’Io e lo riavvolge su se stesso. Tra i pezzi spiccano “Suffering the Idyll” e “Tristania“, che restano in mente per l’utilizzo di riff spacconi e colpi di rullante tirati a mo’ di cannonate.
Con “First Psalms…” abbiamo un lavoro certamente interessante e che avrebbe guadagnato almeno un voto in più con una diversa produzione. La fase di editing infatti andrebbe ripensata per dare risalto a tutti gli strumenti e alla voce. L’anima magniloquente che soggiace a ogni nota viene smorzata da suoni troppo sintetici (tanto che la cosa pare voluta) e richiama l’utilizzo di strumenti veri e propri. Consigliabile anche un po’ di varietà nelle melodie vocali, che non devono perdere la veste sacerdotale ma nemmeno inchiodarsi su percorsi monotòni.