Nati nel 2012 come progetto sperimentale tra Anna Murphy e Tor-Helge Skei, i Lethe sono una band il cui intento è semplice e chiaro: lasciar fluire musica e versi senza costrizioni di genere. Eclettici, stravaganti, intolleranti verso le mode, in una parola, liberi, i due compositori propongono “The First Corpse On The Moon“, un poliedrico quanto coerente manifesto dell’Avantgarde, uscito lo scorso 24 febbraio per My Kingdom Records. Tematiche e concetti s’inseriscono in un solco scavato nella mente umana per eviscerarne i tratti più profondi tra incubi e sogni, paranoie, oscurità interiori, crolli mentali. Molte le influenze riscontrate nelle composizioni che mescolano elettronica, trip-hop, art-rock e persino un tocco di pop.
Poco il metal presentato, se non in punti precisi in cui le chitarre si fanno più tetre e violente, ma questo non è certo un difetto. Le varie influenze riescono a intrecciarsi molto bene per tutta la lunghezza dell’album, forse coese dalla vena ipnotica che Tor-Helge, ma soprattutto Anna, mantengono nelle linee vocali. Il pendolo dell’incantatore infatti parte subito con l’opener “Night” e “Down Into The Sun“, con un effetto ancora più marcato in “Snow“. L’alchimia tra accompagnamenti e ritornelli è elaborata, psicologica, e funziona come un incantesimo ben preparato. “Wind to Fire” pare anch’essa un mantra che, per qualche strana associazione psichica, sarebbe stata perfetta per la colonna sonora degli ultimi film della serie Hunger Games. Chitarre più aggressive invece in “My Doom” che, assieme alla titletrack “The First Corpse On The Moon” rappresentano forse le perle del disco, seguite a ruota dai brani citati poco sopra.
A emergere su una composizione assolutamente intelligente e di grande finezza è comunque la voce di Anna Murphy. I duetti con Tor-Helge sono sempre azzeccatissimi, ma è lei a coccolare ogni strofa con una capacità interpretativa e una versatilità appena intuibili nei precedenti Eluveitie; aspetti che invece nei Lethe emergono con una certa prorompenza.
Per quanto riguarda l’album in sé, va specificato che l’ascolto potrebbe lasciare perplessi non pochi fruitori, vuoi per la complessità della sperimentazione, vuoi per l’onda calma e litanica che scivola tra una traccia e l’altra. Chi scrive è convinto però che la variabile nell’apprezzamento dell’album dipenda molto dallo stato d’animo soggettivo: caratteri introspettivi, meditativi e malinconici spalancheranno le porte del proprio Io a “The First Corpse On The Moon“, mentre difficilmente lo faranno i caratteri opposti.
Nel complesso, credo comunque che ci troviamo di fronte a un lavoro davvero meritevole di lode e promettente. La regola che il duo si è auto-imposto, ‘fuck-all-rules‘, pare proprio indicare una buona via da percorrere.