Gli italianissimi Laetitia in Holocaust giungono al loro terzo album, dal titolo “Fauci Tra Fauci”, ed è semplicemente splendido. I modenesi si sono sempre fatti portavoce di un black metal dalle più svariate influenze, arrivando se possibile a creare un genere assolutamente a sé e all’avanguardia. Per certi versi, complici le atmosfere oscure che si vengono a creare, possono ricordare certi componimenti dei Mgła, ma è una citazione che reinterpretano in chiave completamente personale. È uno di quegli album che è veramente difficile da descrivere per la varietà della proposta, per la bellezza delle atmosfere che si vanno ad ascoltare e a vivere, per la fantasia compositiva. Ci proviamo comunque e quindi entriamo nello specifico dei sette brani di cui “Fauci Tra Fauci” è composto.
“Diva Fortuna” apre l’album con delle chitarre acide e cruenti, esplodendo in melodie fra loro dissonanti ed interessantissime. Il growl usato è cattivissimo e veramente splendido, perfetto per veicolare la rabbia che compone il brano. Ottima la scelta di far trasparire il basso, qui e negli altri brani, non come mero sottofondo ma anch’esso come strumento protagonista allo stesso piano delle chitarre. È un brano assolutamente esplosivo che si guadagna subito il posto fra i migliori dell’album.
Si continua sulla scia della frenesia con “Through The Eyes Of Argo”, dove la protagonista è una splendida batteria che si libra fra interessanti scelte melodiche e del più classico blastbeat, arricchendo il tutto con sezioni in cui l’headbang sorge praticamente spontaneo. Una brevissima interruzione a metà canzone rallenta del tutto il ritmo, tingendo l’atmosfera di malinconia e tristezza. Il finale, che va dissolvendosi, sorprende con una chitarra acustica leggiadra e vagamente sognante. Anche questa è semplicemente splendida, brano da riascoltare più volte per godere di ogni dettaglio.
“In Cruelty And Joy” spinge verso lidi molto variegati, grazie ad un intrigante riff pescato dall’heavy anni ‘80 e risistemato ad hoc in chiave black metal. Bellissimo l’utilizzo, anche qui, di due chitarre totalmente dissonanti fra loro; c’è anche spazio per un piccolo assolo. La conclusione viene affidata a poche note e ad un bisbiglio rituale, che ripete cantilenante la stessa frase fino al silenzio totale. È un brano decisamente più sperimentale, che rimane facilmente impresso nella mente.
“Exile” spezza completamente l’andazzo dell’album con un pianoforte inquietante ma elegantissimo, che volteggia in un vortice di note prese da tutta la tastiera. Sembra quasi di essere in un film horror d’altri tempi, nel momento clou della scena, in cui l’omicida si avvicina silenzioso alla sua vittima. Una profonda voce maschile sorprende, cantando una melodia triste ma non monotona, diventando a volte più leggera, a volte più inquietante, anche grazie al pianoforte che ora è mero accompagnamento. Il basso c’è anche qui, per porre degli accenti perfetti nell’equilibrio del brano. No, non è affatto un filler. È veramente splendida, una frattura ben calcolata e dosata, studiata in ogni dettaglio e anch’essa sicuramente degna di più di un ascolto.
Si ritorna alla normalità con “The Elders Know”, brano altamente sperimentale che procede però con ritmo medio lasciando la batteria impreziosirsi di piccoli dettagli molto interessanti. Una prima pausa lascia parlare sezione ritmica e voce, prima di incattivirsi ma senza accelerare. La sezione che occupa la metà del brano è veramente particolare, lasciando dietro di sé un’atmosfera confusionaria; le parti melodiche sono ben bilanciate per ritrovare l’equilibrio in un ascolto sicuramente un po’ difficoltoso a primo acchito.
Segue “The Foot That Submits”, aggressivo e cupo, sia nelle melodie che nel growl, più profondo e rabbioso. Anche qui la personalità dei Laetitia In Holocaust risalta prepotentemente con splendidi momenti di batteria, piccole soluzioni melodiche che vanno a stonare con l’atmosfera generale del brano. Questa rimane veramente cattiva e alterata anche dopo un breve momento di respiro, che permette di cambiare velocità e far trasparire delle delicate note di chitarra acustica in lontananza nella melodia portante. C’è spazio anche per della malinconia prima che la batteria interrompa l’illusione di tranquillità e riporti il brano dov’era, e con questa cattiveria quindi prosegua fino alla conclusione. Semplicemente spettacolare, una delle migliori dell’intero “Fauci Tra Fauci”, a dimostrazione perfetta di cosa i Nostri siano in grado di fare.
I nove minuti e mezzo di “Gods In The Swarm” sono la punta lucente di un album già di per sé eccezionale. Il piede è sull’acceleratore sin da subito, mantenendo saldi i sentimenti tangibili del brano precedente ma lasciando del black metal puro prendere il sopravvento. L’headbang è praticamente una certezza, grazie a ritmi serrati e a note velocissime. Verso la metà ci si incespica per un attimo, giusto per prendere fiato e prepararsi ad un’altra sferzata di gelo nero velocissimo e cambi di tempo a dir poco spettacolari. Finalmente si frena verso i sei minuti, ed è quasi un dispiacere; ma l’atmosfera non è meno frenetica di prima, anche se a parlare è solo la sezione ritmica, qualche sparuta nota di chitarra e una voce demoniaca che parla sottovoce. Questa parte è semplicemente splendida e continua fino alla fine, quando il silenzio prende praticamente in contropiede e sembra invitare ad un ulteriore ascolto.
La lezione da imparare dopo questo “Frauci Tra Fauci” è che per trovare dell’innovazione, della personalità, dell’invettiva fuori dal comune, non serve guadare lontano. La qualità è qui, nel nostro paese, forse un po’ troppo nascosta, ma è talmente raffinata da potersi tranquillamente sfidare con quello che l’estero offre (e poterne uscire pure vincitrice). I Laetitia In Holocaust si dimostrano band da tenere assolutamente nel radar, e questa loro ultima fatica può già entrare tranquillamente fra i migliori del 2019. È un ascolto praticamente obbligatorio per gli amanti del black metal che però non ha paura di sperimentare, cambiare ed evolversi; lo consiglio caldamente, e ora, se permettete, vado a riascoltarmelo ancora una volta.