Prima o poi bisognerà capire cosa danno da mangiare ai giovani musicisti brasiliani: ne è passata di acqua sotto i ponti dai tempi dei (primi) Sepultura e dei Sarcofago, il metal verdeoro ha ampliato i propri orizzonti e mercati, ma è indubbio come la vena più distruttiva, violenta ed oscura del metal sia quella che più risalta agli occhi degli ascoltatori extra-latinoamericani, e quella più conosciuta oserei aggiungere. E il 2018 segna il ritorno di una delle band brasiliane più devote al sacro fuoco del death metal: i tre fratelli Kolesne, meglio noti come KRISIUN.
I fan più accaniti lo sapranno già, ma per i nuovi arrivati è bene far presente come la sperimentazione non sia uno dei marchi di fabbrica della casa: dai Krisiun non potete aspettarvi tecnicismi, inserti melodici o progressive o finezze di questo tipo. Sebbene col tempo la loro violenza primordiale abbia lasciato il posto a strutture più ragionate, la violenza e la velocità sono i due pilastri su cui si regge il tempio Kolesne… e l’undicesima colonna conferma quanto anticipato. Anzi, con “Scourge of the Enthroned” i Krisiun fanno un passo indietro rispetto al precedente “Forged in Fury”, snellendo la durata delle canzoni e pure la struttura: sperimentazione ridotta al minimo, mixando al meglio velocità e potenza. Il passo indietro è solamente a livello musicale, dato che si rifà agli esordi, non certo a livello qualitativo: la produzione e l’esperienza non sono certo quelli di “Black Force Domain”, diamante grezzo di nera malvagità risalente al lontano 1995.
Il dittico iniziale titletrack/”Demonic III” mette subito in chiaro le cose e ci restituisce l’animo Krisiun: ritmiche serrate, zero spazio alla melodia e macigni scagliati uno dietro l’altro. Un punto di forza della band di Ijuì è sicuramente la riconoscibilità, bastano infatti pochi secondi di canzone e l’impatto dei tre fratelli brasiliani salta subito all’orecchio dell’ascoltatore. L’unico neo di quest’approccio così diretto è la ripetitività a cui inevitabilmente si va incontro: per i fan accaniti e di lunga data questo non è e non sarà sicuramente un problema, dato che sanno a cosa vanno incontro. Il problema si pone per i nuovi ascoltatori, visto che la potenza sonora della band a primo impatto sicuramente non vi lascerà indifferenti, ma il vostro giudizio sull’album potrà variare sensibilmente a seconda di quello che cercate. Perché il resto dell’album si mantiene su buoni livelli, senza spunti di altissimo livello ma senza scadere nel riciclato e nel già sentito, cosa da non sottovalutare per una band sulle scene da più di vent’anni. Nonostante ciò, l’album scorre via senza freni fino al terremotante finale di “Whirlwind of Immortality“, dove i Krisiun sprigionano tutta la loro rabbia: una traccia veramente notevole, che farà la gioia di tutti i deathster e che li riporterà per cinque minuti ai tempi del debutto dei brasiliani.
Quaranta minuti scarsi di puro death made in Brazil: il ritorno dei Krisiun conferma quanto di buono hanno fatto i nostri in questi anni, confermando come la costanza sia di casa a Ijuì. In questo caso il voto è indicativo, se siete fan della band aggiungeteci cinque punti, se cercate sperimentazioni o simili rivolgetevi altrove. Per gli altri, preparate gli armamenti: le bordate Kolesne sono tornate!!!