Parlando dei canadesi Killitourus è difficile essere seri visto che la band è la prima a non farlo. Difatti sono noti per avere un gran senso dell’umorismo che manifestano attraverso testi paradossali e titoli assurdi. Se si va a vedere nel dettaglio i componenti però scopriamo che dietro il progetto non ci sono proprio dei novellini ma musicisti di tutto rispetto come Aaron Homma (Annihilator), Nick Miller (First Fragment) e il batterista Eric Morotti dei Suffocation. C’è tanta carne sul fuoco dunque e dal punto di vista tecnico l’album fa la sua porca figura (si parla pur sempre di technical death). Andando avanti con l’ascolto ci ritroviamo di fronte ai soliti cliché del genere: assoli funambolici, blastbeat irruenti accostati a velocità impazzite. L’album è sorretto da una buona sezione ritmica, con riff deathcore massicci. Ogni tanto nelle canzoni ci sono delle voci campionate che personalmente ho trovato fastidiose ed hanno il brutto vizio di smorzare l’attenzione.
A conti fatti “The Afterparty” è un disco un po’ così, meno “cazzaro”, se mi passate il termine, del suo predecessore ma comunque molto lontano dal diventare un ottimo album. In realtà non ha nemmeno la pretesa di andare a strutturare una cosa personale ed è evidente che il gruppo intenda mostrarsi in questo modo, è lampante ad esempio nell’ultima canzone di dieci minuti “King Diamond Dallas Page” che per metà è fatta da una risata ripetuta. La bravura tecnica è indubbia, ma ci si limita a replicare un compitino già fatto da altri in modo anche più virtuoso. In più i vari strasciconi nel disco portano appunto a non considerarlo con serietà. È un album che prendi e che dimentichi alla stessa velocità con cui l’hai ascoltato. Il giudizio è a vostra discrezione, se apprezzate la maggior parte del technical death moderno e del deathcore probabilmente anche questo disco vi piacerà, se non si ha quest’apprezzamento difficilmente si arriva a concluderlo.