Nella scena metal un ruolo molto importante è da sempre dato all’impatto visivo della copertina, la quale deve invogliare l’ascoltatore ad approcciarsi all’ascolto e magari anche lasciar intendere le tematiche liriche e musicali dell’album in questione.
Un ottimo esempio è questo Into Pyramid of Doom, esordio discografico per i teutonici Into Coffin, la cui ottima copertina in bianco e nero carica di simbolismi relativi alla cultura egizia e allo spazio profondo trasuda spirito underground e sprigiona quel tipico marciume del death doom di una volta, citato anche nella font del logo che rimanda alla scena svedese dei primi anni novanta. Gli Into Coffin come detto vengono dalla Germania, nonostante nella line-up figurino alcuni nostri compaesani (tra cui Giona ex-Hadit), e giungono all’esordio dopo l’ottimo demo Black Ascension del 2015 che aveva destato molto scalpore all’interno della scena underground.
Il gruppo ha le idee molto chiare sul proprio percorso stilistico nonostante sia un progetto fresco nato nel 2015, e supporta queste con delle ottime doti strumentali e degli ottimi arrangiamenti che rendo questo disco potente e coinvolgente, nonostante la durata media alta dei singoli brani.
Le coordinate dunque, lo avrete ormai intuito, sono quelle del death/doom tradizionale in cui troverete tutti i classi elementi che hanno fatto la fortuna di band quali Winter o Asphyx, ovvero ritmi dilatati e riff slabbrati e funerei su cui vengono innescate ripartenze death metal putride e opprimenti che ricordano gli Autopsy.
Questa alternanza è il punto di forza del disco e dona varietà e freschezza, evitando di ricadere nel classico effetto da “già sentito”.
Non aspettatevi però melodie o derive gotiche spesso usate ed abusate nel doom, in quanto qui troverete solo atmosfere cupe, brutalità e un pizzico di mefitica oscurità nei rari riferimenti al black metal.
Ad introdurci nei meandri fangosi di questo album troviamo un’intro dalle atmosfere rilassate e spaziali chiamata The Entrance, che crea un perfetto contrasto con la successiva Stargate Path, in cui a farla da padrone sono le ripartenze death metal alternate a un rallentamento atmosferico posto a metà brano.
Nella successiva e lunga Into Pyramid of Doom si invertono le strutture e a farla da padrone sono i tempi dilatati claustrofobici e sofferenti in cui diverse ripartenze, alcune vicine al black metal, danno vivacità al brano.
Le successive The Deep Passage For The Infity Of The Cosmos e Black Ascension si sviluppano su strutture simili al brano precedente, la prima accentuando molto il lato atmosferico e spaziale mentre la seconda muovendosi lungo violente ripartenze death metal.
Degna di menzione la produzione molto old school nei suoni e nelle distorsioni, che riesce a dar un tocco nostalgico e a creare un muro di suono vigoroso ed invalicabile.
Ottimo esordio questo Into Pyramid of Doom, che cita il passato riuscendo ad esser attuale, che saprà conquistare sia la scena underground che quella mainstream grazie allla sua attitudine sincera e passionale.