Nell’epoca dei talent show, degli artisti costruiti, della globalizzazione e di tutta una serie di contingenze che ci fanno perdere di vista l’Italia che conta, si rischia molto spesso di non prestare adeguata attenzione alla qualità di talenti come Ida Elena DeRazza. Cantautrice che milita nei Bare Infinity e ha militato nei Cantus Lunaris, diplomata in tecniche teatrali, poliglotta, invitata speciale a ‘I Raccomandati’ di Rai Uno (2004), vincitrice di premi sia per l’attività teatrale che cantautorale, Ida Elena non è affatto una sconosciuta ma la fama attualmente conquistata non le rende giustizia. Una tesi, questa che propongo, ricca di spunti di riflessione e che m’impegnerò a giustificare nelle prossime righe.
Uscito agli inizi di Agosto 2016 per Maqueta Records, “Native Spirit” è un EP di cinque brani che segue al disco solista “(My) World Music” (2011) e propone una commistione di musica folk e celtica piuttosto varia. Si inizia con “Runes In My Pocket“, un’altalena celtica che ci regala, nel ritornello, un vocalizzo davvero accattivante. Ma se da una parte abbiamo gli amuleti (figurati e non) che aiutano l’uomo ad andare avanti, dall’altra bisogna considerare anche le relazioni negative da cui fuggire, raccontate nei tre quarti di “‘Til My Last Breath“, pezzo intenso che naviga nel solco tracciato da “mamma” Candice Night e consorte. In un battibaleno arriviamo al singolo, “The Butterfly“, la folk-ballad dedicata al tema della metamorfosi e che mi ha fatto ripensare ai diversi periodi dei Nightwish: Ida canta le parti più energiche con la decisione di Floor Jansen, propone un ritornello efficace alla “Over The Hills And Far Away” e recita le strofe come il cantastorie Hietala. So che il paragone non è dei più intuitivi, ma ciò non toglie che il pezzo sia certamente uno dei migliori della cinquina.
Alla traccia numero 4 abbiamo invece la titletrack, “Native Spirit“, che lascia per un attimo le terre europee e accarezza le sonorità dei nativi americani (azzeccato il coro di voci basse che ricorda i canti rituali attorno al falò). Il pezzo è emozionante e, per qualche arcana magia, si fa ancora più coinvolgente in sede live (dove Ida non sbaglia un colpo, giusto per precisare). Chiude il disco “Folliapoesia“, una ballad in italiano in cui emerge un forte desiderio di libertà nei confronti di una società artefatta e priva di fantasia. Questa canzone mi ha fatto uscire per un attimo dall’atmosfera folk-celtica portandomi dritto nel cantautorato italiano, quello delle interpreti più pregevoli, anche se il songwriting, devo ammettere, non mi ha particolarmente entusiasmato nella seconda parte.
Sarò spiccio sul giudizio finale: “Native Spirit” è un buon EP, ben gestito a livello di registrazioni e mixaggio, che risente della mancanza di un pezzo come “Midnight Prayer“. Lo dico semplicemente perché la canzone citata è oro puro e mi ha suscitato emozioni che non provavo da tempo: una vetta avvicinata da “Native Spirit” ma mai raggiunta. Non sono comunque i voti ciò su cui voglio soffermarmi.
All’inizio, infatti, ho detto che la fama conquistata da Ida Elena non le rende giustizia. Ebbene, non le rende giustizia perché questa ragazza è, senza tanti giri di parole, un’interprete eccezionale: mascherata da fata vi è un’imperatrice che domina la propria voce e la riempie di pathos. Si sente la tecnica, si percepisce l’emozione, si carpisce la narrazione. In questo progetto solista emerge qualcosa in più rispetto a quanto sentito finora con i Bare Infinity: emerge il quid, il je ne sais quoi, la bella voce. Mezzo-soprano dalla versatilità incredibile, Ida è un’eccellenza italiana destinata a diventare grandissima, una vera star. Tutto ciò che si chiede è che la maturazione compositiva raggiunga quella vocale per spalancare, una volta per tutte, le porte del sublime.
Attendo con ansia i suoi prossimi lavori.