Tre anni dopo la pubblicazione di “Into The Great Unknow”, gli H.E.A.T. tornano in vetrina nello scenario hard rock melodico con il nuovo “H.E.A.T. II“, lavoro che per la prima volta viene prodotto unicamente dal gruppo svedese a cura del tastierista Jona Tee e del chitarrista Dave Dalone.
«Se avessimo pubblicato il nostro album di debutto nel 2019, questo è il sound che avrebbe avuto», con questa dichiarazione la band motiva il titolo di questo nuovo album che assume dunque un significato di “secondo debutto” dopo alcune sperimentazioni nelle pubblicazioni precedenti, seppur sempre riuscite.
Andiamo dunque a scoprire questo ritorno alle origini di una band che, ad oggi, ha sempre mantenuto alta la qualità e non ha mai deluso le aspettative.
Il disco sprigiona da subito energia allo stato puro grazie alla opener “Rock Your Body” che regala già dal primo ascolto un ritornello indelebile con cori coinvolgenti e ottimi riff di chitarra, aggiungendo un buon assolo di Dave l’entusiasmo e la curiosità salgono alle stelle. “Dangerous Ground” non accenna a frenare, tutti i membri del gruppo sono al meglio della loro forma. Gli ottimi lavori di tastiera amalgamano le sonorità di un pezzo che, come solito degli H.E.A.T., ha una forte impronta hard rock anni ’80. Ed è subito headbang.
Il momento più alto di tutto l’album lo si ha senza dubbio con la bellissima “Come Clean“, una canzone travolgente che emana luce da ogni singola nota suonata e la prestazione di Erik Grönwall al microfono è un qualcosa di assolutamente meraviglioso. Pezzo iconico, in tutto e per tutto. Decisamente più combattiva “Victory“, caratterizzata da sonorità epiche e parti strumentali mai sotto le righe mentre la successiva “We Are Gods” si preannuncia essere un bel pezzo in sede live, classica canzone da pugni al cielo e battiti di mani durante i refrain. Con “Adrenaline” si torna a melodie più morbide ma per nulla stancanti, un bel passaggio verso quello che è stato il primo singolo di lancio dell’album: “One By One“, rilasciato dal gruppo lo scorso settembre. Il brano si sviluppa molto bene dove l’ottimo lavoro dietro le pelli impattanti di Don Crash e il basso di Jimmy Jay mantengono il pathos generale euforico. Addolcisce delicatamente i nostri cuori “Nothing To Say“, unica ballad del disco, passionale e ben strutturata a cui si collega in modo del tutto lineare “Heaven Must Have Won An Angel“, un bel prosieguo che stabilizza e riprende i soffici ritmi delle ultime tracce senza però lasciare troppo il segno se non per l’intro di sintetizzatori ben accurata di Jona.
La quiete però è solo momentanea: il disco si conclude con le ultime ma per nulla meno importanti “Under The Gun” e “Rise“, altre due hit di alto livello che tornano a dare scariche di adrenalina ai nostri timpani, dimostrando di avere ancora tanta energia difficile da trattenere negli animi della band. E va alla grande così.
Che dire? I cinque di Stoccolma ancora una volta sono riusciti a sfornare un lavoro di qualità sublime. Passione ed energia sono l’accoppiata vincente in grado di far indubbiamente distinguere gli H.E.A.T. dalla massa. Grazie a questa freschissima rivisitazione del tanto amato (ancora oggi) rock ottantiano, troverete in questo album tutto ciò che di bello era presente nei capolavori di gruppi dal calibro di Scorpions, Europe, Skid Row, Queen e Foreigner. Che possano continuare a regalarci gioiellini per tutta la loro carriera, lunga vita agli H.E.A.T.