In un mondo musicale e discografico che tende a dosare bene le uscite e a distribuirle nel tempo, sorprende come una band torni dopo poco più di un anno sulla scena con un nuovo album. Se però parliamo di una gruppo giovanissimo, formatasi nel 2017, che ha rilasciato un album d’esordio (“The Fallen King”) ricevendo consensi molto positivi sia tra gli addetti ai lavori che tra gli ascoltatori, facendosi un proprio nome grazie ad un’intensa attività live, la cosa può sorprendere di meno. A parere di chi scrive, questi discorsi lasciano il tempo che trovano, dato che l’ispirazione può essere continua oppure venire meno per un lungo periodo di tempo, ma la curiosità intorno a “Crowned In Frost” dei Frozen Crown era molta, per verificare la (eventuale) evoluzione della band e se l’esordio non fosse stato un fuoco di paglia.
Già dopo il primo ascolto si può constatare una cosa non da poco: il power metal non è preponderante come nell’esordio. Se “The Fallen King” era chiaramente di matrice power e la maggior parte delle canzoni si accostava a questo filone, Crowned In Frost si discosta da esso. Il nuovo disco dei Frozen Crown è più diretto, più heavy, ma non per questo meno vario, anzi. I cliché vengono in parte abbandonati e le scelte della band virano verso la creazione di un sound più personale. L’album d’esordio e l’esperienza in tour ha decisamente giovato ai Nostri, poiché l’esperienza accumulata si sente eccome, in particolare per Giada “Jade” Etro e per il drummer Alberto Mezzanotte.
Andiamo con ordine: come abbiamo detto, il nuovo album suona molto più vario e personale, grazie anche alle scelte della band in fase di studio e registrazione. Ad un primo ascolto salta subito all’orecchio come le tastiere non siano più onnipresenti, anzi. La loro presenza è notevolmente ridotta e tastiere e synth in molti frangenti sono sostituiti dal pianoforte, che riesce a dare sfumature più melodiche nelle parti più spinte e cattive. A proposito di violenza le parti in growl sono ridotte rispetto all’esordio, ma ciò non va a scapito della cattiveria e della grinta, sopratutto grazie ad Alberto Mezzanotte: eccelso nel dettare i ritmi delle canzoni, pur non essendo tentacolare o ipertecnico come certi batteristi più rinomati e famosi, semplicemente perché non è quello di cui i Frozen hanno bisogno nella loro line-up. I suoi rullanti, le sue accelerazioni a far risaltare il lavoro delle asce e le doppie casse rendono le canzoni delle vere e proprie cavalcate alzando il ritmo e il livello senza scadere nel tecnicismo. Rispetto all’esordio un netto passo in avanti, la batteria riesce a ritagliarsi il proprio spazio molto più frequentemente e quando non è preponderante sostiene al meglio il comparto strumentale (in “The Fallen King” ogni tanto risultava troppo statica e con qualche momento morto di troppo). Quasi tutte le canzoni presentano una batteria vivace e che colpisce deciso, al punto giusto, come se sapesse esattamente cosa fare all’interno della traccia. Senz’altro una delle punte di diamante dell’album.
Passando alle chitarre, Federico dimostra di saper dipingere riff immediatamente riconoscibili, che si stampano in testa (“Battles In The Night”, “Neverending”, “Unspoken”) e soprattutto più vari. Uno dei difetti di “The Fallen King” era proprio la ridotta gamma di riff, che risultavano certe volte troppo ripetitivi e statici. Se “Crowned In Frost” si libera delle catene del power, il merito è anche del lavoro del chitarrista, capace di coordinarsi al meglio con la batteria per dare vita a certe sequenze al fulmicotone, dove corde, rullanti, piatti e casse si muovono all’unisono (“Neverending”, “Winterfall”). Menzione d’onore per gli assoli, taglienti e dall’alto coefficiente tecnico, che contribuiscono ad accrescere ulteriormente la varietà di sfumature delle sei corde.
Su questo muro sonoro si staglia la più bella conferma dell’album, la voce di Giada: potente e vibrante come non mai e insieme alla batteria è di certo il passo in avanti più importante per la band. Nessuna sbavatura, né forzatura, Giada riesce a raggiungere registri vocali che aveva lasciato solo intravedere nell’album di esordio, senza impostare la voce e apparentemente senza dare il benché minimo segno di fatica (sarà molto curioso vederla in tour). In certe canzoni prende le redini della canzone e la conduce dall’inizio alla fine, coadiuvata dalla voce in pulito di Federico, vedasi la combo “Unspoken”/”Lost In Time” e il ritornello di “Winterfall”, dove la sua voce e il rullante di Alberto creano una sequenza da cantare a squarciagola.
Per quanto riguarda le canzoni non si possono fare distinzioni tra quelle più grintose e altre più melodiche, perché bene o male in ognuna si può ritrovare sequenze più tirate ed altre in cui la voce di Giada ci trasporta in melodie sognanti. Sicuramente ci sono canzoni più easy listening come la già citata combo “Unspoken/”Lost in Time”, potenziali singoli come “Neverending”, che però si pone a metà strada tra di loro, le due suite “Winterfall” e la titletrack, che dal punto di vista musicale sono le principali novità. Se nell’esordio la durata delle tracce era intorno ai quattro minuti e mezzo, in questo album la durata delle canzoni è più varia. “Artic Gales” e il suo minuto e ventiquattro funge da intro per “Neverending”, manifestazione di intenti della band e uno dei brani migliori del lotto. Per tutto l’album ci si muove tra tracce più dirette e orecchiabili, intermezzi strumentali (“The Wolf and The Maiden”, “Enthroned”) e brani più catchy e minisuite, che rispondono al nome di “Winterfall“ e “Crowned In Frost”. Non siamo ai livelli delle suite progressive metal (sarebbe stata veramente una ciliegina sulla torta), ma i cambi di tempo, di ritmo e di atmosfera non ci portano molto distanti da quei lidi, in particolare “Winterfall” rappresenta probabilmente il pezzo migliore scritto dal gruppo. Una prima parte di tipicamente heavy viene bruscamente interrotta con tastiere ed archi che aprono la strada per la seconda parte della canzone, più diretta, cattiva, ma molto più varia. Il ritornello da cantare a squarciagola, il growl di Federico, sezione di blast beat (l’anima melodic death che ogni tanto torna a far capolino), un breve intermezzo strumentale e poi via di nuovo, tra riff graffianti, una Giada ad altissimi livelli e una sezione ritmica mai banale.
Non una conferma, ma una vera e propria promozione per i nostrani Frozen Crown: in poco più di un anno hanno fatto passi da gigante, hanno fatto esperienza girando in giro per l’Italia confezionando un album convincente, grintoso e mai banale. Non ci sono buchi nell’acqua, anzi, la tracklist ci regala ottimi momenti di heavy metal dalle tinte power in cui le tracce più articolate si alternano ad episodi più easy listening e diretti, ma soprattutto, ci regala una band in formissima che non può far altro che crescere ancora con questo “Crowned In Frost”. L’ultima nota di merito voglio farla proprio alla produzione: limpida, che non sommerge uno strumento a discapito di un altro, che riesce a risaltare pure il basso di Filippo Zavattari troppo spesso dimenticato, ma autore anche lui di una prova sopra le righe (ascoltare per credere il suo basso in “In The Dark“). Il regno di ghiaccio ha trovato i suoi regnanti, che in un anno sono saliti al potere prepotentemente. Il popolo ha risposto positivamente e anche questa volta i nostri cinque beniamini hanno fatto centro dimostrando come anche a loro il power sia ormai stretto. Così come la fama italiana, non c’è da chiedersi se la strada intrapresa sia quella giusta. Dato il valore cristallino di quest’album, la vera domanda è “dove” li porterà questa strada. Promossi a pieni voti.