Band italiana, che coniuga il melodic death metal con elementi folk, tra cui numerosi strumenti di origine orientale: un mix che non si vede nemmeno nei migliori cocktail. E il cocktail che gli Ephyra hanno preparato per la loro terza fatica in studio saprà soddisfare appieno la sete di curiosità degli ascoltatori, fan e non della band. Si dice spesso (a ben donde) come il terzo album sia la prova del nove, il bivio che può portarti a varcare le porte del successo e della piena affermazione oppure entrare nel limbo della ripetitività e delle occasioni mancate. Gli Ephyra, dopo i primi due album, coniugano al meglio i loro ingredienti, bilanciandoli perfettamente e soprattutto non utilizzando quei clichè tanto (ab)usati e in cui si rischia spesso di scivolare.
“The Day Of Return” è il successore naturale di “Along The Path”. Naturale perché non porta a uno stravolgimento del sound dei cinque comaschi. Non stiamo parlando di rivoluzione ma di perfezionamento, di evoluzione. La componente epic è messa totalmente da parte, il focus viene portato sulle taglienti chitarre, la cui produzione dona loro un sound che talvolta ricorda “The Jester Race” degli In Flames (tra i pilastri del melodic death, svedese e non), e sulla componente folk: codesta, al contrario di quello che si potrebbe pensare, non fa da cornice al quadro musicale, ma ne è parte integrante. Ed è proprio questo elemento a far risaltare “The Day Of Return” sull’immenso sottobosco melodic death.
Fare un track by track risulterebbe noioso e poco utile: inutile perchè le dieci tracce dell’album hanno ciascuna un’anima diversa, ma nessuna di esse spicca sulle altre. Forse solo la conclusiva “True Blood“, dove il melodic death si lascia definitivamente andare trascinando (questa volta sì) la componente orchestrale, spicca sulle altre. Un album compatto, senza punti deboli e molto omogeneo come qualità e lunghezza temporale: e in questo risiede l’unico difetto dell’album.
Le varie tracce tendono ad assomigliarsi un po’ troppo le une alle altre (il minutaggio simile non è un caso): scelta voluta o no non ci è dato sapere, sta di fatto che una traccia più elaborata della altre e più intricata avrebbe donato ancora maggior varietà a un album ricco di per sé.
La componente folcloristica è quanto di più particolare si possa trovare. “Sublime Visions” e il suo morin khuur (violino a due corde tipico della Mongolia) ci teletrasportano direttamente nel Deserto del Gobi, in un’atmosfera sospesa che viene spezzata solo dalle sferzate delle sei corde. L’ocarina fa capolino in molti brani, arrivando a seguire l’andamento musicale e duettando con gli accordi chitarristici (“Wayfarer“). “Run Through The Restless Fog” è probabilmente la mia traccia preferita, arricchita dallo shakuhachi, tipico flauto giapponese che dona un tocco di malinconia e di emozione alla canzone: ma tutto il brano si mantiene su livelli elevati, e il duopolio alla voce tra il pulito di Nadia Casali e il growling di Francesco Braga tocca l’apice. Probabilmente lo stereotipo de La bella e la bestia avrà stancato molti di voi, ma in casi come questi viene smentito totalmente e regala un altro capitolo della sua avvincente storia. In particolare la voce di Nadia è di una pulizia disarmante, e la frontwoman è perfettamente a conoscenza di ciò, evitando di eccedere in virtuosismi e commettendo zero sbavature.
Prova superata per i nostri conterranei: al netto di alcune sottigliezze da sistemare (vedansi struttura delle canzoni e le parti folk preregistrate, prese dal vivo avrebbero un impatto sonoro ancora più importante), la band dimostra di aver intrapreso il percorso di maturazione con determinazione e con le idee chiare, soprattutto. La band non punta ad arzigogoli e tecnicismi, dalle linee vocali alle chitarre, passando per basso e batteria, tutto mira alla realizzazione della canzone e al generare emozioni, non alla mera autocelebrazione. Non si finisce mai di evolvere e di scoprire cose nuove: gli Ephyra ce lo hanno dimostrato, con il loro Melodic Death cocktail miscelato con erbe aromatiche orientali. Ora sta a voi scoprirlo e gustarlo: in una scena melodic death sempre più stantia, questi ragazzi devono e meritano di emergere. Da recuperare immediasubito!