Quando pubblicarono il loro album d’esordio nel 2000, gli Edenbridge furono definiti un gruppo “angelic metal” per via delle melodie brillanti e della voce soave di Sabine Edelsbacher. Un po’ Blackmore’s Night, un po’ meno Nightwish (non conosciuti dal gruppo), la band del mastermind Lanvall fu in grado di offrire una proposta tutto sommato originale e degna di nota.
Giunti al loro nono album con “The Great Momentum“, in uscita per SPV/Steamhammer il prossimo 17 febbraio, gli Edenbridge cercano di portare a compimento quel passo verso il symphonic metal cinematico, le cui basi possono forse essere rinvenute in “The Grand Design” del 2006. Titoli dagli aggettivi maestosi per una musica che presenta chitarre massicce, inserti etnici, con un pizzico di manierismo, oggi coadiuvati dalla Junge Philharmonie Freistadt. A Lanvall, fondatore polistrumentista, l’onere della composizione di melodie e testi con propositi decisamente ambiziosi.
Rispetto al precedente “The Bonding” l’evoluzione è stata lieve ma percettibile. L’utilizzo dell’orchestra e dei cori infatti è migliorato in tutto: la prima non è gestita in modo “violinocentrico”, mentre i secondi compaiono solo quando strettamente necessario, senza sommergere la voce della cantante. Il comparto chitarristico invece si mantiene costante nella sua bontà e varietà, contando parti in acustico, ritmiche cadenzate e potenti, nonché assoli lodevoli (e, diciamocelo, che sono anche un po’ una “Vulgar Display of Power”). Ottima la produzione in generale e l’esecuzione tecnica da parte di tutti i componenti.
Il primo contatto con i brani rivela da subito una mancanza di immediatezza: niente ritornelli ruffiani, niente motivetti cantabili sotto la doccia, qualche riff che si emulerebbe volentieri con la propria air guitar. L’opener “Shiantara“, ispirata alla saga di Star Trek, parte con un giro forse un po’ scontato ma efficace, mentre è piuttosto originale nella melodia delle strofe. Nel complesso un pezzo abbastanza efficace, che si assimila con più ascolti e che mostra fin da subito le intenzioni di Lanvall. Seguono tracce dall’animo più power e più heavy, fino ad arrivare al primo pezzo di rilievo, ovvero la metal ballad “Until The End of Time“. Il brano è forse l’unico che riesce a imprimersi nella memoria, complice il contributo di Erik Martensson che, grazie alla sua interpretazione, compensa la prova impeccabile, ma piatta, di Sabine. Altro pezzo degno di nota arriverà solo alla penultima traccia, con “A Turnaround in Art“, il quale sembra un pezzo qualunque all’apertura, per poi regalare il ritornello più epico e coinvolgente dell’album. Il punto di pregio qui sta nel sublime effetto delle note in staccato dell’orchestra che sembrano quasi rispondere ai vocalizzi della frontwoman. Compare infine l’immancabile pezzo da 90, “The Greatest Gift of All“, brano lungo circa tredici minuti che però si rivela interessante solo a partire dal minuto 5:30 grazie all’esplosione della già citata Junge Philharmonie Freistadt.
Giunti alla fine del disco, la prima considerazione positiva riguarda l’uso dell’orchestra, davvero oculato e con gli ottoni che emergono con prepotenza conferendo in certi punti quel tipico sound da kolossal cinematografico degli anni ’60-’70. Qui Lanvall è stato davvero bravo nel comporre e lascia intravedere grandi potenzialità. Certo, di tanto in tanto si sente profumo di Nightwish, soprattutto nei punti in cui il pianoforte parte da solo dopo un muro sonoro, però niente che possa scatenare paragoni più fastidiosi.
Ciò che, personalmente, mi ha dato davvero fastidio sono state invece le melodie vocali di Sabine, perché non è rimasto quasi nulla del metal angelico dei primi anni. La frontwoman, infatti, è stata ancorata a un certo range di note che non contempla grandi acuti né grandi sforzi, e questo appiattisce terribilmente il bel lavoro fatto a livello di arrangiamenti. Le strofe del cantato sono noiose, poco coinvolgenti, e la cosa emerge in tutta la sua drammaticità proprio grazie al confronto con la guest star Erik Martensson. La colpa, però, non è di Sabine, ma di chi ha gestito tutto dalle retrovie, ovvero Lanvall. Una diversa stesura delle tracce vocali avrebbe, molto probabilmente, garantito un voto più alto a questo “momentum” non poi così “great”.