La Metal Queen Doro Pesch ha deciso di fare le cose in grande per festeggiare i suoi 35 anni di carriera. Uscito lo scorso 17 agosto via Nuclear Blast, “Forever Warriors, Forever United” è un ambizioso doppio album che riassume l’intera carriera dell’artista. Molte le collaborazioni al suo interno tra cui Mille (KREATOR), Warrel Dane, Jeff Waters (ANNIHILATOR), Johan Hegg (AMON AMARTH), Chuck Billy (TESTAMENT), SABATON, Ross The Boss, Rock‘n‘Rolf (RUNNING WILD), DETRAKTOR, Tommy Bolan, Andy Brings & The Ultimate Doro Clan. Lo spirito, insomma, è quello di una musica che vuole ispirare condivisione senza rinunciare a una bella carica di adrenalina.
Possiamo trovare davvero di tutto in questo “Forever Warrior, Forever United”. Abbiamo infatti una solida componente Hard Rock anni ’90 miscelata a una discreta dose di Heavy Metal cadenzato, entrambi intervallati da alcune immancabili ballad e due cover (“Don’t Break My Heart Again” dei Whitesnake e “Lost In The Ozone” dei Motörhead). Sei ulteriori bonus track, tra cui la cover di “Caruso” del nostro Lucio Dalla, completano questa release di 25 canzoni totali.
Tra i brani più heavy segnaliamo l’inno “All For Metal” con il suo coretto progettato apposta per far cantare la platea; il bellissimo inizio di “Fight Through The Fire” e l’agitatissima “Bastardos“. Per il comparto Hard Rock spicca, seppur non per originalità, “Turn It Up“. Abbiamo poi una dedica per il compianto Lemmy, “Living Life To The Fullest” e un discutibile duetto con Hegg degli Amon Amarth “If I Don’t Have You – No One Will“.
“Forever Warrior, Forever United” è un album genuino e onesto in cui Doro si difende ancora bene nonostante l’emergere di cantanti assai più versatili e tecnicamente dotate (Floor Jansen per fare un esempio). La varietà è un punto a favore di questo doppio album che riesce a gestire un buon numero di sonorità e melodie senza perdere coerenza. La produzione è discreta ma cede qualcosa sui suoni delle chitarre. I veri problemi sono due: 1) la mancanza di originalità nei testi, davvero ridotti all’osso e concettualmente poveri, e 2) la quasi completa inutilità delle tanto pubblicizzate collaborazioni le quali, a conti fatti, poco si sentono.
Per quanto gradevole, l’ultima fatica di Doro risulta ben lontana dall’offrire qualcosa di memorabile. Potremmo dire che si tratta di un bel revival che tuttavia deve abbassare le proprie pretese.