Diary Of My Misanthropy e Leviathan: un legame che si può intuire fin dal titolo. Da un lato abbiamo la misantropia, l’odio verso il genere umano e tutto ciò riconducibile alla sua figura; dall’altro il Leviatano, creatura primordiale e mostruosa, rappresentante del caos primordiale. Presente in molti contesti, il Leviatano è sinonimo di terrore e di distruzione, simbolo della potenza divina e quindi “braccio destro” nell’eterno giudizio dei mortali: può in qualche modo incarnare la parte più oscura e risolutiva di molte religioni (dato che è presente in diversi contesti culturali/religiosi) nel giudicare i propri sudditi, e scatenarvi contro la sua devastazione.
I Diary Of My Misanthropy giungono al terzo EP con l’oggetto di questa recensione, “Leviathan“: fondati nel 2013 da Vladislav Tsarenko a Praga come one-band band, ora sono diventati un trio dedito a un post rock strumentale che non disdegna incursioni nel metal. In questo terzo EP la band decide di esplorare nuovi territori lungo le sei canzoni, e al post rock/metal molto atmosferico affianca influenze doom e progressive, che donano nuova luce alle canzoni e ben si legano al tema dell’album, il Leviatano. Nonostante le tracce siano interamente strumentali, la tracklist rivela come la band abbia voluto esplorare questa figura mostruosa in tutti i suoi aspetti, da quelli religiosi/culturali fino a quelli politici, portati alla ribalta nel 1651 dal filosofo politico Thomas Hobbes.
Le prime due tracce dell’EP ci restituiscono il Leviatano dormiente sul fondo del mare: “Sleep Peacefully, Giant Monster” ci introduce con un lento crescendo, volto a creare un’atmosfera sospesa su cui ben si stagliano partiture doom, quasi a volerci suggerire come il Leviatano in apparenza sembra sia calmo, ma in verità è ben sveglio. Risveglio che avviene con la successiva “Are You Dreaming“: pianoforte e batteria introducono la canzone, a cui subentrano la chitarra e il basso. Ma non è un ingresso burrascoso, anzi. L’atmosfera è eterea, i riff di chitarra taglienti accentuano questa sensazione di straniamento: nei momenti successivi al risveglio del Leviatano è come se ci si trovasse in una dimensione parallela, in un sogno, tale è lo sgomento nel trovarsi di fronte a codesta forza della natura.
Forza che si scatena con la title-track, in cui nulla viene lasciato al caso: il basso è il dominatore della canzone (quella dalle tinte più progressive dell’EP), scandendo e dettando i tempi, mentre la chitarra disegna, con il suo incidere lento ma costante, le ultime ore del Leviatano e la sua distruzione. Ultime ore perché la creatura marina è alla fine del suo corso, come testimoniato dai lenti e cantilenanti accordi finali della canzone che fanno da contraltare alla precedente parte, dove la chitarra più graffiante racconta la distruzione e il giudizio finale del Leviatano.
Dopo aver compiuto il suo dovere, il Leviatano è ora pronto per ritornare sul fondo del mare, per farsi avvolgere definitivamente dall’oscurità: oscurità che fa da padrone nella seconda parte dell’album. “War and Peace“ è l’esemplificazione del binomio che il Leviatano simboleggiava per il filosofo politico: dove il Leviatano simboleggia lo Stato, il potere temporale e il potere pastorale devono essere sempre uniti, mai divisi. Appare più che mai evidente come la politica e la religione (che avevano stretti rapporti al tempo di Hobbes, ma il discorso si può tranquillamente attualizzare) siano più che mai uniti in questo ipotetico duetto, dove guerra e pace sono complementari. Uniti come l’atmosfera e la violenza, che portano la band in terre post-metal e dai toni cupi, che verranno ripresi e amplificati con influenze doom nella successiva “Black Mirror“, dove lo specchio nero è rappresentato dal Regno delle Tenebre: Regno che per Hobbes era costituito dalla Chiesa e dalle sette puritane inglesi, impegnate nelle loro campagne di occultismo. Da segnalare in questa traccia un sapiente utilizzo del pianoforte, che dona quel quid di atmosfera in più alla traccia.
“Rest in Peace“, Leviatano: con l’ultima traccia i Diary Of My Misanthropy ci stupiscono con tocco ad effetto, realizzando una traccia elettronica molto minimalistica, non invasiva, che ci permette di assaporare e di captare gli ultimi respiri della bestia, resi in maniera impeccabile tramite dei beat filtrati. Il Leviatano ha completato il suo corso, e pure i Diary Of My Misanthropy hanno completato il loro ruolo di Ciceroni (musicalmente e strumentalmente parlando) di questa figura mistica: scegliendo una figura così imponente sarebbe stato facile giocare la carta della violenza senza compromessi, ma i Nostri hanno optato per approfondire e decantare i lati più nascosti e più oscuri del Leviatano, anteponendovi la ricerca dell’atmosfera e del giusto ambiente musicale in maniera eccelsa. Così facendo, ogni strumento è perfettamente riconoscibile e riesce a ritagliarsi la propria parte, contribuendo a raccontare una sfaccettatura diversa di quella complessa figura che è il Leviatano.