È ancora possibile, nel 2016, attirare l’attenzione con un symphonic metal che ricorre a cori operistici, suoni orchestrali campionati e una voce femminile intervallata da alcuni momenti growl? I Diabulus in Musica, band spagnola attiva dal 2006, provano a rispondere positivamente a questa domanda con Dirge For The Archons, quarto album in studio che uscirà il 18 Novembre per Napalm Records. Un’impresa davvero ostica, la loro, poiché il genere presentato ha raggiunto un punto di saturazione tale per cui persino i recensori rischiano di diventare ripetitivi almeno quanto la musica proposta.
Dirge For The Archon si approccia all’ascoltatore con una copertina molto ben fatta (creata da Heilemania che ha curato, tra gli altri, Lindemann, Epica e Kamelot) e l’ottima voce della cantante Zuberoa Aznárez, brava ad alternare il timbro lirico a sfumature più dolci e basse. Fin dalla seconda traccia, “Earthly Illusions“, si nota la scelta per un sound molto distorto della chitarra che rende power chords e palm mute piuttosto sporchi, sebbene la cosa si senta meno quando subentrano gli arrangiamenti orchestrali. Data la massiccia presenza di questi ultimi, tuttavia, appare meno perdonabile la decisione di optare per suoni campionati dei quali si sente, spesso in modo evidente, l’artificialità (il classico string ensamble di tastiera, per intenderci). In un’epoca dove i plug-in per editor musicali fanno miracoli, è quantomeno strano che i produttori non abbiano optato per qualcosa di meglio.
Entrando nel merito delle tracce, assistiamo a una virata sempre più stretta verso gruppi come i Sirenia e gli Xandria contemporanei, quindi, per proprietà transitiva, verso gli Epica. I primi tre brani si lasciano ascoltare senza suscitare particolare ammirazione, mentre la situazione migliora con l’arrivo dei singoli al quarto e quinto posto. “Invisible” appare inizialmente insipida quanto le canzoni che l’hanno preceduta, per poi fissarsi nella mente grazie a un ritornello catchy e un buon uso delle voci. “Crimson Gale” è invece il pezzo che in un’ipotetica classifica di gradimento si piazzerebbe al secondo posto: veloce, potente, coinvolgente, non fosse per i continui – troppi – occhiolini nei confronti dello stile degli Epica. Altro pezzo degno di nota è poi “Ring Around Dark Fairies’ Carousel” per la sua atmosfera da circo degli orrori che, grazie a carillon e fisarmoniche, cerca di distinguersi dai soliti cliché. Infine, è con “A Speck In The Universe” che troviamo la vera perla dell’album: una canzone dolce nei modi e negli accompagnamenti che permette a Zuberoa di implementare al cantato sfumature davvero emozionanti. Paradossalmente (ma non troppo), il pezzo meno saturo e meno bombastico è quello in assoluto meglio riuscito, pur accostandosi allo stile dei Nightwish dell’era Tarja (cosa che accade anche con “Bane“, le cui strofe al minuto 01:20 trovano assonanze preoccupanti con “Ghost Love Score” minuto 03.22).
Tirando le somme, “Dirge of The Archons” vince la posta in gioco? Seppur a malincuore, la risposta è “no”. Zuberoa ha dimostrato eccellente padronanza della voce confermandosi come elemento di spicco della band, ma non ha trovato dietro di sé composizioni con sufficiente personalità. Metà dell’album è, in senso letterale, privo di attrattive e il tasto “skip” diventerà un triste compagno dell’ascoltatore veterano. A ciò aggiungiamo l’infelice utilizzo di suoni troppo artificiali che sono in totale contraddizione con le pretese di magnificenza ed epicità che gli spagnoli si prefiggono. E se l’uso dei cori può dirsi soddisfacente, vi sarà sempre un tarlo a ricordare che Morten Veland e la premiata ditta Jansen&Janssen (rispettivamente chitarrista e tastierista degli – ancora una volta – Epica) hanno ormai spremuto tutto quello che si poteva spremere dalla polifonia di molte voci.
La sfortuna dei Diabulus in Musica è forse quella di essere anacronistici. La speranza è che possano trovare una loro via per emergere dalla mediocrità, giacché il potenziale tecnico non manca affatto.