Trovarsi davanti a un foglio bianco, dopo aver ascoltato per ore – ma che dico ore, per giorni – la nuova fatica del multitalentuoso Devin Townsend, e non riuscire a scrivere una parola, a teorizzare un concetto, insomma a tirare fuori un’idea. Ma poi un’illuminazione mi ha ricondotto ad un cassetto della memoria, nel quale ho ritrovato una frase di un famosissimo film della commedia all’italiana che calza a pennello per questo artista straordinario e per questo disco: “Che cos’è il genio? È fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione”.
E mai frase fu più giusta!
Ma andiamo con ordine. Aiutato dalla co-produzione di Mike Keneally discepolo di Zappa, Townsend consegna l’esecuzione dei nuovi brani ad una vasta formazione nella quale possiamo trovare ben tre batteristi (Paulicelli, Agren, e Sastry) oltre a una moltitudine di cantanti e coristi tra i quali spiccano sempre la meravigliosa e bravissima Anneke Van Giersbergen e Chad Kroeger.
A livello musicale “Empath” è uno spettro dei colori che va ben oltre l’occhio e, in questo caso, l’orecchio umano. Sfumature continue, generi diversi che si inseguono e che mai si raggiungono, danno modo al Sig. Townsend di andare a giocare con tutta la sua carriera musicale. Dagli Strapping Young Led più violenti ai suoi progetti solisti, da “City” per poi passare a “Terria”. Ed è qui che entra in gioco la Fantasia di uno degli artisti più poliedrici e variegati che la scena metal abbia mai avuto.
La Fantasia e l’Intuizione di ambientare Empath su una colorata isola dove vivono animali e mostri di tutte le specie (e se la vista non mi inganna anche gatti) sono a dir poco geniali: in un contesto quasi da musical, Devin riesce a far convivere brani che in altri modi avrebbero colliso l’uno con l’altro: si passa da atmosfere quasi oniriche come in “Spirits Will Collide” a episodi come “Why” oppure “Borderlands“, dove le varie orchestrazioni spirituali e ritmi quasi estivi trovano voci in growl e cambi poliritmici a fare da contraltare.
La Decisione di togliersi dalle spalle il modo di pensare e di scrivere musica come nel Devin Townsend Project ci consegna un musicista rinato e pronto ad esplorare ogni meandro della sua mente in forma armonica e pacifica, ed è questo che stupisce ogni volta che si ascolta questo disco: la capacità di rendere MAI banale ogni nota, ogni intreccio, ogni forma di pensiero. Le canzoni che si susseguono ci portano, come cullati dal mare, ad esplorare noi stessi e ad aprire le nostre menti ed i nostri cuori per ritrovare suoni e colori ormai dimenticati.
Cosa dire poi dell’Esecuzione? Tutto coincide perfettamente, tutto si incastra come in un puzzle psichedelico, dove ogni strumento ha la sua valenza e importanza: mai sopra le righe, mai di troppo. Episodi come “Genesis” oppure “Evermore” ci fanno percorrere una sorta di spartito visivo, dove ogni nota viene adagiata per lasciare un segno nell’ascoltatore.
In definitiva ci vogliono molto tempo e molta pazienza per apprezzare questa opera d’arte. Molti non la capiranno, molti non la accetteranno proprio perché di non facile lettura al primo ascolto; ma se avrete la voglia di dargli tempo, proprio come un buon vino invecchiato, vedrete che non vi deluderà. Dovrete solo essere pronti ad un viaggio dentro voi stessi! “Powerful and not Heavy!” (cit.)
Immenso!