Ci ho messo un po’, sinceramente, a prendere in mano questo disco. “Ordinary Corrupt Human Love“, nuovo album dei Deafheaven, si presenta come una delle più attese uscite discografiche dell’anno.
A tre anni di distanza dal predecessore “New Bermuda”, accolto tiepidamente da critica e fan, questo nuovo lavoro si prospetta come un’ulteriore estremizzazione della band, arrivata a sottoporsi ad una scissione totale e, combinando e unendo due generi ai poli opposti: il post rock ed il black metal.
I detrattori sono tanti, i fan persi negli ultimi cinque anni pure. “Sunbather”, datato 2013, rimane ad oggi una delle pietre miliari degli anni ’10, avendo incredibilmente capovolto tutte le superstizioni, i crismi e le teorie sul post-black metal. Siamo onesti: un album così non tornerà mai più.
Ma c’è un ma.
I Deafheaven questo lo sanno bene, perciò perché non sbattersene il cazzo e ricapovolgere tutto un’altra volta? Ebbene, signori, questo “Ordinary Corrupt Human Love” è il tutto ed è il niente. Sette brani di cui ben quattro di più di dieci minuti per i Nostri di San Francisco.
Un lavoro sofisticato, il loro. La prima cosa che sovviene all’ascoltatore è la capacità della band di non lasciarti ascoltare le tracce una separata dall’altra. Mi spiego meglio: questo è un album da assimilare dall’inizio alla fine per come è, senza salti di brano. Questo, come molte altre cose – tra cui la produzione – è un carattere fondamentale dei Deafheaven.
Ci sono tanti Mogwai e tanto post rock: immensi panorami soleggiati oscurati da parecchi temporali estivi. Infatti (altro mutamento inevitabile), le sfuriate black non mancano dall’inizio alla fine. Blackgaze estemporaneo in una funivia di emozioni con un George Clarke sempre protagonista indiscusso di un progetto così incredibilmente estremo.
Ripeto il pensiero: la produzione ed il mixaggio sono la vera punta di diamante dell’album intero. Non vi acchiapperà (Jerry Calà mode) subito, e anche questo vi farà incazzare: lo odierete, lo amerete, non riuscirete più a farne a meno.
Nella top 10 del 2018.