Siete rimasti soddisfatti dai primi due lavori dei Chapel of Disease? Bene, dimenticateli, non tanto perché il terzo capitolo della loro carriera non raggiunga il livello dei precedenti, ma piuttosto perché il cambiamento che si può sentire in esso è tanto deciso quanto sorprendente. “… And as We Have Seen the Storm, We Have Embraced the Eye” mantiene la base Death Metal che ha presentato Laurent Teubl e soci alla scena internazionale, ma la unisce a elementi sperimentali e poco collegati al genere proposto, intriganti e inseriti molto bene nel contesto, capaci di manifestare ottime dote compositive.
La formazione, in dieci anni di carriera, non ha mai subito cambiamenti, e l’affiatamento tra i vari componenti si sente molto bene in questa produzione.
La partenza è buona con “Void of Words” e le melodie interessanti disegnate dalla coppia di chitarristi formata dal suddetto Teubl e David Dankert, ma quando arriva la seconda metà del pezzo si viene sorpresi da un settore interamente strumentale dove le parti di chitarra ricordano Mark Knopfler e i suoi Dire Straits. Per quanto possa sembrare strana l’aggiunta di elementi vicini al Rock classico in un disco scritto da una band Death Metal, le idee insolite sorprendono in positivo, con il prologo della produzione che chiarisce fin da subito come il lavoro in questione sia concentrato molto sulla sperimentazione. Il cambiamento subìto è abbastanza radicale, ma nonostante ciò ogni passaggio convince e non si dimostra mai forzato.
La seguente “Oblivious – Obnoxious – Defiant” si dimostra più decisa ma si separa lo stesso dallo stile rabbioso e diretto dei primi lavori, specialmente se si considerano i riff melodici di chitarra e gli intermezzi più trascinanti e pieni di groove.
In “Song of the Gods” ci sono netti riferimenti all’Heavy Metal classico, almeno per quanto riguarda le parti strumentali, con ritmiche cavalcate e passaggi accattivanti, mentre le parti vocali rimangono concentrate su un growl possente, che segna l’affinità col Death Metal nonostante tutte le varie influenze presenti nel lavoro. Anche sotto questo punto di vista, però, i Nostri decidono di sperimentare, e nella lenta e malinconica “1.000 Different Paths” viene usato a sorpresa un cantato in clean.
Infine, la lunga “The Sound of Shallow Grey” conclude il disco riassumendo tutto ciò che si è sentito in precedenza, e continua a meravigliare la semplicità con cui si passa da momenti aggressivi a frangenti, con tutte le influenze che si uniscono in modo consapevole e razionale.
“… And as We Have Seen the Storm, We Have Embraced the Eye” è un album ambizioso ma ben riuscito, carico di personalità e originale, che ci mostra come i Chapel of Disease, dopo aver fatto buona figura con le loro prime due fatiche, siano riusciti a trovare uno stile che li caratterizzi, un miglioramento convincente e che induce ottimismo per il futuro dei quattro tedeschi.