CAVALERA CONSPIRACY – Psychosis

by Leonardo Cervio

Iniziare questa recensione dei Cavalera Conspiracy, la mia prima recensione per Metalpit, è uno dei compiti più controversi che mi potesse capitare: i Sepultura, la leggendaria band metal brasiliana fondata dai fratelli Max e Igor Cavalera, mi ha aperto le porte del metal estremo e a tutti gli effetti li considero una delle cinque band a cui sono più legato affettivamente. È indubbio, però, come negli ultimi tempi Max Cavalera e l’ispirazione abbiano preso due strade divergenti. Max, dopo essere uscito nel 1996 dai Sepultura, ha fondato i Soulfly per continuare la sua ricerca della fusione tra metal e suoni tribali, collezionando all’inizio ottimi album: a partire dal settimo album “Omen”, tuttavia, la band ha inanellato prestazioni sottotono, riprendendosi solo con l’ultimo “Archangel”. Parallelamente, ha fondato insieme al fratello i Cavalera Conspiracy, rilasciando tre album che, eccezion fatta per l’esordio, sono tra i peggiori prodotti dai nostri brasileiros. Riusciranno i Nostri, sulla scia di “Archangel”, a risollevare la band?

Di certo, i due fratelli non hanno perso la cattiveria, e l’apripista “Insane ce lo dimostra: una produzione di alto livello (la migliore mai avuta dai Cavalera) ci restituisce dei riff abrasivi e taglienti che si amalgamano come ai vecchi tempi sui rullanti di Igor. Nulla di originale, ma con questa canzone si rifà un tuffo nel passato glorioso della band, quando si partorivano gemme come “Beneath The Remains”, “Arise” e “Inner Self”: peccato sia questo il problema dell’album. Lo stesso Max ha affermato, durante la presentazione dell’album, di avere voluto ricercare quella miscela di death e thrash che tanto ha dato ai brasiliani, e che ci ha dato da scapocciare: il che di per sé non è un male, se però viene contestualizzata e aggiornata al sound moderno. Invece, la band preferisce percorrere strade già battute, riproponendo soluzione già sperimentate, usate e “abusate”, che ad un primo ascolto possono farci scuotere la testa con l’headbanging, ma che alla lunga stancano e lasciano poco o nulla all’ascoltatore. La voce di Max non mostra segni di cedimento con l’avanzare dell’età, mentre vengono penalizzati da questa “non-ricerca” il guitarwork di Marc Rizzo, che non si ritaglia momenti solistici particolari e regala pochi momenti degni di nota, e il drumming di Igor, che non si discosta molto dal periodo Sepultura. Siamo su altri livelli rispetto al precedente “Pandemonium” (a parere di chi scrive il punto più basso toccato da Max e soci), ma la voglia di osare, di andare oltre è troppo poca: ed è un peccato, perché quando la band prova qualcosa di nuovo i risultati sono veramente ottimi. Un esempio di ciò è la strumentale title-track, che mette per un attimo da parte la cattiveria in favore di un sound più ricercato, volto a ricreare gli argomenti trattati in “Psychosis“; sofferenza, smarrimento, solitudine vengono trasmessi efficacemente, regalando una piacevole sorpresa giusto sul finale del disco, dopo una parte centrale francamente monotona, senza spunti e che rappresenta in pieno i problemi presentati prima. Menzione d’onore per il singolo “Spectral War“, divisa in una prima parte tipicamente thrash e una seconda parte tribale, che però risulta un po’ troppo slegata dal contesto.

Alla fine della storia, cosa ci rimane di questo “Psychosis”? Mestiere, tanto mestiere, voglia di rievocare i tempi d’oro ma poca innovazione: una produzione di altissimo livello non solleva fino alla sufficienza un disco che, dati i nomi e la caratura degli artisti, avrebbe dovuto essere di ben altro livello. Purtroppo quest’ultima frase la si è ripetuta un po’ troppo spesso in questi ultimi anni, e più si va avanti, più sembra che l’ispirazione stia preparando le valigie a Casa Cavalera. Chi cerca una reminiscenza dei vecchi Sepultura avrà pane per i suoi denti, ma chi si aspetta un ritorno ad alti livelli ripassi pure alla prossima. Sempre se ne varrà la pena.

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