Inutile girarci troppo intorno, Pocho Aztlan è uno dei dischi più attesi di questo 2016, sia per i sedici anni(troppi) che lo separano dall’ottimo Brujerismo e sia per l’alone mistico che attornia i Brujeria.
La band è da sempre al centro delle attenzioni della scena Metal mondiale grazie al fascino ed al mistero che ha saputo ricreare intorno a sé, sin dalla nascita nel lontano 1989, e che ha saputo mantenere negli anni nonostante le rivelazioni sui membri della band.
Infatti il gruppo, nato dalle menti di Dino Canzares e Raymond Herrera (Fear Factory), Bill Gould (Faith No More), Shane Embury (Napalm Death, presente dal disco Matando Gueros) e dal carismatico Juan Brujo, creò, in tempi in cui le informazioni non erano di dominio pubblico come nell’era di internet, una leggenda secondo cui il gruppo fosse costituito da membri di un cartello di narcos dediti alle peggiori aberrazioni che la mente umana potesse concepire.
Per rendere credibile questa storia, Juan Brujo infarcì i propri testi in lingua madre dei classici clichè dei narcotrafficanti (droga, tratta di migranti, omicidi) rincarando la dose con spunti sul satanismo, pedofilia, odio verso i “gringos” e amore verso il Messico, utilizzando un linguaggio sboccato e carico di ironia. Ad oggi, nonostante la storia sia stata smentita alla fine degli anni novanta, i Brujeria mantengono ancora il fascino da narcos che li ha da sempre contraddistinti e che permea fin dalle fondamenta questo Pocho Aztlan.
Fatta una doverosa premessa, la domanda che sorge spontanea è: come sono i Brujeria nel 2016?
Semplicemente in gran forma, carichi di odio e nuove storie da narcotrafficanti, nonché violenti come un pugno nei cosiddetti.
Persi per strada Cazares e le sue classiche mitragliate alla Fear Factory che avevano caratterizzato il suono da Raza Odiata, il gruppo si è affidato all’estro di Embury per la scrittura del disco, coadiuvato da pezzi da novanta quali Jeff Walker (Carcass) e Nicholas Barker (Lock Up), tra gli altri.
Il risultato è un magma incandescente di metal estremo che recupera in alcune parti il feroce grindcore degli esordi (No Aceptan Imitaciones), assalti di death metal furente (Isla De La Fantasia, Culpan La Mujer), letali dosi di hardcore (Mexico Campeon, Santogo), uptempo Thrash/core carichi di groove (Pocho Aztlan, Plata O Plomo, Bruja) ed una bellissima cover di California Uber Alles (California Uber Aztlan).
Maestose le prove di El Brujo e Fantasma che con growl profondi, urla e parti decantate ci allietano con nostalgici tributi a El Padron Pablo Escobar, storie di “Migra” e droga, misoginia e satanismo.
In definitiva, Pocho Aztlan è un disco meraviglioso che trasuda Brujeria da ogni singola nota, riuscendo ad avvicinarsi a quella piccola gemma che è Raza Odiata.