La recensione di questo nuovo lavoro si potrebbe fare in una sola riga: questo disco è suonato da Mike Portnoy. Serve altro? Direi proprio di no, ma non vorrei dare tutto il merito ad un solo elemento, togliendolo così agli altri tre ragazzi che, assieme a Mike, hanno creato questo ottimo lavoro.
Siamo davanti ad una super band, dura e pura come l’acciaio, con elementi ben noti nel campo della musica heavy; un gruppo così potente che un pugno di Hulk Hogan in faccia all’ascoltatore sarebbe a confronto una leggera carezza.
“American Made” è un disco contenente solo ed esclusivamente cover di artisti appunto, made in U.S.A.
“Wang Dang Sweet Poontang” di Ted Nugent è la traccia che apre questo disco, dove vediamo Bobby Blitz (Overkill) alla voce, il batterista Mike Portnoy (ex Dream Theater, The Winery Dogs, Sons of Apollo), il bassista Mark Menghi (Metal Allegiance) e il chitarrista Phil Demmel (Vio-lence, ex Machine Head). Questa canzone fa già capire all’ascoltatore di che pasta sono fatti i ragazzi e che tipologia di disco andremo ad ascoltare.
Con una “Toys In The Attic” (Aerosmith) di cui vi è anche il loro video ufficiale su Youtube, il disco prende bene forma sin da subito, incendia ulteriormente la voglia di andare avanti ad ascoltare questa nuova fatica e continua a far battere il piede; la band vuole trasmetterci un chiaro messaggio: vogliamo che l’ascoltatore si diverta almeno quanto noi.
Giri di batteria e potenti riff accompagnano “Saturday Night Special” dei Lynyrd Skynyrd e “Beer Drinkers & Hell Raisers” dei ZZ Top, questi pezzi dimostrano che i BPMD non solo riescono a catturare l’essenza di ogni traccia originale dell’album, ma trasformano abilmente ogni classico in un inno metal indimenticabile. Intro di batteria e via con “Tatooo Vampire” dei Blue Öyster Cult, anche un sordo riconoscerebbe l’impronta di Portnoy. Potente come gli altri pezzi, qui il quartetto ci delizia di una cover estremamente dura e diretta, non c’è spazio per le mezze cartucce. Insomma un disco davvero pieno di sorprese, d’altronde, con un quartetto così che cosa vi aspettavate? Un disco mediocre?
“We’re an American Band” (Grand Funk Railroad) è probabilmente la traccia più divertente dell’album, molto orecchiabile e che fa venir voglia di riascoltare tutto il lavoro da capo.
Inizialmente mi immaginavo un ascolto più morbido, con delle canzoni che non avrebbero reso al meglio in chiave metal, o che comunque non fosse divertente ascoltare un ulteriore disco di cover. Ammetto di essermi ricreduto. Bobby alla voce ancora una volta non delude, anzi, colpisce nel segno sin da subito, mentre Portnoy siede come sempre dietro le pelli e ragazzi… per la millesima volta crea un super lavoro, complimenti! Ovviamente non bisogna dimenticare gli altri membri della band, perché il disco è ben riuscito comunque grazie al lavoro di tutti e quattro i musicisti.
Incanalando nostalgia ed energia allo stesso tempo, risulta una produzione fresca, con sonorità quasi nuove. “American Made” è un disco che piacerà (penso) a tutti i metallari del pianeta, ora e nelle prossime decadi.
Con dieci indimenticabili classici del rock, risuonati in chiave metal, questa è la dimostrazione che ancora oggi vi sono dei musicisti che hanno ancora molto da dare, anche dopo anni di carriera, e mostra soprattutto come non sappiano cosa significhi la parola “STOP”!