“Slow Death”, le uniche due parole che accompagnano “Terminal“, l’ennesima pesantissima fatica dei Bongripper, una band che in fatto di concept strumentali non delude mai.
Come da tradizione, la band originaria di Chicago sfrutta la tracklist per esprimere il concetto dell’intero disco, gli unici due brani (per circa quarantaquattro minuti complessivi) si intitolano “Slow” e “Death“, un’autentica tragedia sonora che con la sua disperata ed ossessiva pesantezza rende superfluo l’utilizzo di una voce.
Ciò che rende “Terminal” l’ennesimo capolavoro della band, e del genere intero, è l’atmosfera funebre e oscura che genera fin dalle prime battute, un mood costante che si evolve come un viaggio attraverso il Lutto e ciò che concerne lo spettro delle emozioni umane in quella circostanza, o per lo meno si avvicina incredibilmente a quello che è il mio personale vissuto in merito.
Fin dal principio l’album è avvolgente e denso, parte dimostrando quanta potenza la band può scaturire ma poi si assesta e si apre a delle derive psichedeliche e atmosferiche, per poi tornare sui suoi granitici passi e scombinare i timpani dell’ascoltatore. Una dinamica che nel complesso rende estremamente longevo un disco che presenta soli due brani già di per sé estremamente lunghi e densi di avvenimenti. Nonostante gli arrangiamenti siano privi di inutili orpelli, i diversi suoni principali e una produzione enorme mettono in risalto la grande energia di cui la band è capace, lasciando spazio ad ogni strumento, perfettamente intellegibile nella catastrofe sonora che i Bongripper propongono.
Riff dopo fiff, deriva atmosferica dopo deriva atmosferica, attimo di disperata malinconia dopo attimo di disperata malinconia, il disco diventa un capolavoro doom come pochi altri sentiti prima, soprattutto nella nicchia delle band che propongo questo genere senza avere un cantante in formazione.
A distanza di quattro anni da “Miserable”, i Bongripper rinconfermano di essere una delle band più pesanti, crude e qualitativamente spesse della scena, andando a rafforzare l’idea che il 2018 sia un’annata quasi miracolosa per Doom, Sludge e generi affini.