“Certi amori non finiscono mai, fanno giri immensi e poi ritornano.”
Per iniziare questa recensione prendo in prestito alcuni dei versi più famosi di Antonello Venditti, non certo la tipologia di musica che viene recensito su codesto sito; e non solo perché l’amore è protagonista nel titolo dell’album oggetto di recensione, ma perché la band di cui andremo a parlare ha saputo ritagliarsi nel cuore di molti amanti del metalcore (e non) un posto di riguardo.
2014: i Bleeding Through annunciano lo scioglimento dopo quattordici anni di onorata carriera, in cui Brendan Schieppati & Co. si sono imposti tra i pesi massimi della New Wawe Of American Heavy Metal, ovvero buona parte del metal del nuovo millennio, tanto vituperato e tanto criticato.
2018: la SharpTone Records pubblica un teaser della nuova musica che avrebbe rilasciato nell’anno venturo, e in questo calderone non sono pochi a riconoscere la voce di Schieppati. E non si sbagliavano: il 28 marzo la band annuncia a sorpresa l’album della reunion, “Love Will Kill All“. L’attesa è tanta, come sempre quando una band ritorna sulle scene, ancor di più se la band in questione ha contribuito a scrivere pagine importanti di un sottogenere. Ma sappiamo tutti come i ritorni nascondano insidie, aspettative elevate e poche possibilità di scelta: cosa avranno apparecchiato i Bleeding Through per il loro ritorno?
Dando un veloce sguardo alla tracklist si può vedere come, delle dodici tracce, solo una superi i quattro minuti. Il combo di Orange County, per tornare sulle scene, ha optato per un approccio diretto, senza fronzoli e carico di groove. Dopo un intro di un minuto abbondante, che si collega con i primi attimi della prima vera canzone, “Fade Into the Ash“, veniamo accolti da una scarica elettrica devastante: venti secondi di symphonic black metal, che degradano in un death metal molto abrasivo che ci conduce a un ritornello cantato totalmente in pulito, prima del nuovo rollercoaster di ritmo e di atmosfere. Schieppati appare in forma smagliante, lo scream e il growl sono ancora di altissimo livello e insieme alla batteria sono i veri protagonisti di questo inizio, che lascia ben sperare. Le successive”End Us” e “Cold World” ci riportano in territori più prettamente metalcore, senza disdegnare inserzioni melodiche e cantato in pulito. Con “Dead Eyes” i Bleeding Through ci regalano l’highlight del disco: gli inserti sinfonici, il tempismo con cui Schieppati adopera i due registri vocali, il ritornello dall’alto tasso emotivo, tutto in questa canzone è bilanciato perfettamente, regalando 3 minuti e 15 di pura adrenalina.
Dopo un inizio a dir poco tellurico, ci possiamo al momento considerare soddisfatti di questa prima parte di disco MA, da metà disco in poi, iniziano i problemi. “Buried” è un carro armato di cattiveria, costante ma senza spunti particolari, e sulla falsariga scorre “No Friends“, più cadenzata ma anch’essa lineare nella sua struttura. Ed è questo il problema, solitario ma macroscopico, che affligge “Love Will Kill All”: a lungo andare, le tracce risultano molto simili alle altre, per struttura e per architettura compositiva. La voce di Schieppati e la batteria di Derek Youngsma non riescono a risollevare le canzoni, tracce in cui le chitarre si limitano a sciorinare riff granitici e abrasivi ma mai diversi tra loro: in quanto a pesantezza e cattiveria compiono al meglio il loro lavoro, ma in quanto a creatività siamo distanti anni luce dai tempi passati. L’unico episodio degno di nota di questa seconda metà di disco è “Set Me Free“, in cui i Nostri rallentano un po’ i ritmi e gli inserti di tastiera donano un’aura diversa al brano. Per il resto, da “No One from Nowhere” alla conclusiva “Life“, prevale un’atmosfera di autocitazionismo, in cui i Bleeding Through riprendono strutture a loro tanto care e usate negli album pre-reunion, ma prive del brio e della personalità che da una band del genere ci si aspetta.
“Love Will Kill All” è il classico album post-reunion, con zero sperimentazione e una band che punta al sodo e riprende da dove aveva finito, quasi a volersi riappacificare con i fan dopo quattro anni di stop. Un album ben prodotto, ben confezionato e che punta a regalare quaranta minuti scarsi di tuffi nel passato: se siete fan dei Bleeding Through apprezzerete di sicuro questo disco, ma se vi aspettavate novità rimarrete a bocca asciutta e un po’ delusi. Sufficienza piena per gli americani, ma al prossimo giro ci si aspetta ben altro.