Dopo quattro anni di attesa i Black Flame pubblicano il loro settimo album, “Necrogenesis: Chants from The Grave”; un ritorno in grande stile, dato che l’album che andremo ad analizzare rasenta praticamente il capolavoro.
Ovunque definiti come i portavoce dell’underground estremo italiano, i Black Flame vantano nel loro curriculum, fra le altre cose, l’essere stati la prima band a firmare per la Forces Of Satan, l’etichetta di Infernus dei Gorgoroth. Una grande responsabilità, forse, a rappresentanza della qualità della proposta musicale: i precedenti sei album sono, se possibile, uno più bello dell’altro.
Come definire i Black Flame? Death metal, black/death metal, blackened death metal sono le etichette più usate e che meglio rappresentano la loro musica: sferzate di gelo nordico e se vogliamo una ritmica inconfondibile designano ciò che si va ad ascoltare. A momenti ricordano sicuramente grandi nomi del mondo black metal in particolare (io ad esempio non ho potuto fare a meno di pensare ai primi lavori dei Dark Funeral), ma sono solo meri richiami, dato lo stile molto personale e unico. Ci aspettano quindi circa quarantadue minuti di tormento infernale e rabbia primordiale. Scendiamo quindi nel dettaglio di “Necrogenesis: Chants From The Grave”.
L’album si apre con la lunga “Necrogenesis”, introduzione strumentale dell’album che è già una dichiarazione d’intenti: chitarre gelide, voci spaventose in sottofondo, feedback inquietanti; un furore cieco serpeggia in tutta la sua evidenza come filo conduttore principale. Anzi, sembra accrescersi mentre la canzone dà l’illusione di spegnersi per dare spazio a distorti canti sacri e una campana funebre come minacciosa presenza; il dettaglio noise del sottofondo amplifica ulteriormente tutte le sensazioni di inquietudine e paura. Già qui si nota la notevole produzione impiegata per quest’album, che da qui in poi si rivelerà praticamente impeccabile.
Senza alcuno stacco ci ritroviamo fra le taglientissime fauci di “Atra Mors”, un’infuriata nordica che scende verso il death di memoria scandinava nel ritornello. Il ritmo particolarmente cadenzato che caratterizza l’intera durata del brano porta ad un sicuro headbang, anche durante le sfuriate più estreme e arrabbiate. Il poco respiro che viene concesso serve solo a rende ancora più gelida un’atmosfera ai limiti dell’ipotermia, misturando sapientemente i labili confini dei due generi fino alla chiara e netta sensazione di aver incontrato la prima perla dell’album.
“Morbid Worship” trascina con sé le caratteristiche del black metal più classico nell’introduzione, aggiungendo man mano il death come in una ricetta ben pensata e quasi perfetta; brano estremamente coinvolgente e anche qui da headbang assicurato, specialmente nella ritmica parte che viene introdotta da metà brano. Chitarre acidissime ci fanno riportare al punto di partenza, scatenando un incendio dei più neri e profondi, accompagnato da un assolo gelido e da brividi, siglando un altro bellissimo brano.
Segue “Reverse Chants And Rusty Nails”, una tempesta totale, probabilmente la principale canzone in cui l’ira è praticamente palpabile, concedendo dello spazio anche ad un piccolo assolo. Si spegne nell’arco di quattro minuti, ma la devastazione che lascia dietro di sé e suprema, ergendosi anch’esso a uno dei brani più belli fra gli otto proposti.
“The Breath Of The Mud” sorprende con un’introduzione inquietantissima ma di poche note di chitarra; la batteria gioca il suo ruolo nel creare la giusta tensione prima di un mid-tempo inaspettato ma glaciale, accompagnato da una parte recitata. L’interruzione quasi improvvisa sembra prendersi gioco dell’ascoltatore, che si aspettava quindi della meritata calma: la chitarra terrorizzante che segue è di tutt’altra opinione, riportandoci ad un black acido e oscuro, seppur ancora improntato su un certo mid-tempo che non stona affatto con l’atmosfera di puro incubo che si viene a creare. Anche questa si rivela un’illusione: la rabbia ritorna in tutta la sua voracità, ed insieme ad essa il cantato al limite della pazzia in italiano regala ulteriori brividi. La mia personale preferita dell’intero lavoro, una splendida gemma da assaporare per bene in ogni sua sfaccettatura.
Ovviamente infuria sin da subito anche “From My Depths”, velocissima e praticamente incostante, dato che coglie di sorpresa il primo rallentamento quasi totale del brano, che aggiunge un’ulteriore nota di agitazione, come se non ce ne fosse già abbastanza. Prosegue attraverso diversi cambi di tempo per amplificare il più possibile questa sensazione di orribile urgenza, dando a volte anche l’impressione di star ascoltando un cantico rituale, pronto ad evocare la più temibile delle bestie.
Un’altra sorpresa: la brevissima introduzione quasi acustica di “Mater Larvarum”, che incede con maestosità prima di lasciare risalto al furore maniacale del brano. Viene lasciato spazio ad alcuni attimi di respiro più cadenzati, che anch’essi danno l’impressione di essere dei riti evocativi. L’improvvisa pausa dalla furia regala qualche nota di soave paura, aumentando l’impressione di terrore e criticità.
L’introduzione della conclusiva “A Grave Full Of Serpents” è praticamente noise puro, che esplode in un incendio nero ferocissimo, quasi alla pari della già menzionata “Reverse Chants And Rusty Nails”. Un assolo indemoniato prende possesso della zona centrale della canzone, la quale rallenta in un mid-tempo cruento e brutale. In breve, si può dire che il brano rappresenta la perfetta conclusione di un album che rasenta la totale eccellenza.
Non credo di peccare di bontà quanto ritengo quest’album come uno dei migliori che io abbia ascoltato nel 2019, e sono certa che quando lo ascolterete (perché DOVETE farlo) capirete benissimo il perché. La cura dei dettagli e la produzione meravigliosa impreziosiscono ancora di più un album devoto all’odio e alla violenza sonora, personalissimo e unico. Dategli una meritatissima personalità, sono certa che vi ritroverete ad ascoltarlo ancora molte volte.