Il black di oggi pare essere solo un lontano cugino di quello di una volta, il quale era sostanzialmente caratterizzato da schiamazzi indecifrabili e/o produzioni grezze (e vane), il tutto spalleggiato da vicende personali degne dei migliori horror (ogni riferimento a Varg Vikernes è puramente casuale).
È l’era dei social media, del marketing strategico e dell’esaltazione dell’immagine, ragion per cui gruppi come i Ghost, che hanno reso l’estetica il loro forte, riscuotono (anche meritatamente) notevole successo. Oggi non basta pubblicare un album, ma serve l’effetto sorpresa, o, nel caso dei Batushka, l’effetto “mistero”.
Dopo una serie di travagliate controversie legali culminate nella dipartita del chitarrista Krzysztof Drabikowski (in arte Derph, per molti la “mente” della band polacca), il 12 luglio 2019 i restanti membri, attraverso l’etichetta Metal Blade, hanno rilasciato il secondo album ufficiale: Hospodi. È il successore del debutto Litourgiya, uscito nel 2015, considerato da molti critici un autentico capolavoro.
Hospodi è una sorta di concept album basato sulla Liturgia della Morte, ovvero riti funebri rinforzati da lunghi intermezzi di canti religiosi. Le parti suonate sono veri e propri muri di suono che trascendono brillantemente in un’atmosfera occulta. L’album inizia al suono di una “classica” campana (vedi Black Sabbath, Metallica, AC/DC e così via) che rende chiaro sin dal primo rintocco che i Batushka non si sono allontanati dalle tematiche del disco precedente, come si può evincere anche dalla copertina dell’album in pieno stile ortodosso.
La prima traccia, Wozglas, con i suoi cori ecclesiastici conferisce un senso di solenne sacralità, tipico delle funzioni religiose. Ma è una sacralità che aspetta solo di essere dissacrata e violata, e l’ascoltatore attento lo sa, infatti intorno al minuto e mezzo della seconda traccia Dziewiatyj Czas ha inizio il pandemonio: uno scream graffiante strappa le pagine delle sacre scritture e squarcia la pacata tela liturgica. I bomb e blast beat, chitarre a otto corde che spaziano dal black ‘n roll a massicci riff in stile ultimi Darkthrone (come nel brano Wieczernia), epiche melodie liturgiche e cori baritoni che si frappongono tra i vari scream “blackened”: l’effetto è grandioso e straripante. Inoltre, il disco contiene due singoli: Polunosznica, il cui incipit riprende lo stesso coro religioso presente nella traccia Yekteniya VI di Litourgiya, e Wieczernia. È certamente complicato fornire un’analisi specifica di ogni brano, visto che l’album è stato concepito come una cerimonia religiosa, esattamente come il predecessore, e di conseguenza ci si aspetterebbe che nei prossimi live venga fornita una scaletta che rispecchi l’ordine delle tracce nel disco. Insomma, è un black che fa della magia del caos il suo punto forte, unendo riff in stile Behemoth (Powieczerje) e martellanti sequenze ritmiche (Utrenia).
La domanda che sorge spontanea è: sono ancora i veri Batushka? Assolutamente sì. Sebbene molti critichino aspramente Hospodi, considerandolo la brutta copia di Litourgiya e affermando che senza Derph la band non sarebbe stata più lo stessa, ritengo che quest’album sia un lavoro maestosamente intricato, e sebbene l’alone del fortunato Litourgiya sia ancora presente, questa volta i Batushka tentano di esplorare nuovi infausti meandri del black. È un tentativo di fuoriuscire dall’underground, e ciò non significa che si siano “edulcorati”.