A sei anni di distanza dall’ultimo “Blasphemers’ Maledictions”, è arrivato l’atteso momento di gustarsi l’ultima fatica degli Azarath, noti per essere il side-project di Inferno, batterista dei Behemoth.
E se nel caso dei Me And That Man, progetto secondario di Nergal, frontman degli stessi Behemoth, il cambio di genere è stato una sorpresa per molti interessati, la proposta degli Azarath segue la strada dei colossi polacchi, in quanto a un Death Metal diretto ed efficace si uniscono notevoli influenze Black Metal.
Fin dal primo ascolto si nota la presenza di un’ottima produzione e le capacità di una formazione (invariata dall’ultima produzione) capace di affrontare i ritmi veloci dettati magistralmente da Inferno, dimostrando il vasto bagaglio tecnico con i vari assoli e riff rapidi e immediati.
I primi due brani, “The Triumph of Ascending Majesty” e “Let My Blood Become His Flesh”, indirizzano fin da subito nello stile tipico dei quattro e non si concedono pause: l’unico attimo di tregua è presente nel finale dell’opener, ma viene seguito dalla potenza travolgente del secondo pezzo.
Gran parte del disco propone un sound Death Metal non molto differente da ciò che è stato proposto da gruppi come Deicide e Morbid Angel nel passato, ma non rifiuta sperimentazioni, come in “The Slain God”, la quale apre le porte a una parte narrata che aggiunge un tocco di epicità al tutto.
Altra prova della ricerca di un sound proprio, sono le influenze Black Metal in pezzi come “Sign Of Apophis” e “Venomous Tears (Mourn of the Unholy Mother)”, che fanno ritornare alla mente i Behemoth a cavallo tra fine anni novanta e inizio duemila.
“In Extremis” è l’ennesima conferma di come gli Azarath abbiano le capacità di sfornare buoni dischi con tutti i requisiti per un discreto successo internazionale; ormai considerarli solo un progetto secondario di Inferno è una forzatura, visto il valore pregiato del loro ultimo lavoro.