Puntuali come un orologio svizzero, gli Amon Amarth si aggiungono alle band che hanno deciso di tornare sulle scene nel 2019. I vichinghi svedesi, dal fortunato “With Oden On Our Side”, hanno visto la loro popolarità crescere in maniera esponenziale tanto che oggigiorno possono essere considerati tra i pesi massimi della scena metal. “Berserker” è il titolo dell’undicesima prova in studio della band ed è il primo album con Jocke Wallgren dietro le pelli. Con questo nuovo album gli Amon Amarth hanno deciso di abbandonare quasi totalmente le sonorità heavy metal degli ultimi due album per fare mezzo passo indietro, ma allo stesso tempo anche mezzo passo avanti. Da un lato infatti abbiamo riff e strutture che rimandano a “Versus the World” e “The Avenger”, dall’altro la presenza di parti acustiche, pianoforti, archi e parti in clean e/o narrate.
Il disco si apre con un’intro acustica che introduce “Fafner’s Gold“, traccia epica e diretta che esplode nel ritornello e ci mostra fin da subito una band in grande spolvero. La successiva e piacevole “Crack the Sky” invece ricorda a più riprese “The Pursuit of Vikings” con un riff scarno e senza fronzoli. Come si diceva sopra, le sonorità heavy sono state quasi abbandonate, ma sono comunque presenti: a testimonianza di ciò abbiamo una manciata di brani ovvero “Mjölner, Hammer of Thor” che fin dall’inizio ricorda gli Iron Maiden degli anni ’80, e la passabile “When Once Again We Can Set Our Sails” con il suo assolo classic metal. Tra i pezzi più interessanti troviamo “Shield Wall“, una canzone anthemica e violenta con un ritornello che sembra studiato apposta per la dimensione live. Il pezzo in questione è un mix perfetto tra vecchio e nuovo, con un riff portante assassino che rimanda a “Versus the World” e anche una parte narrata a metà canzone, cosa abbastanza inedita.
Un’intro arpeggiata che viene subito spazzata via da un riff uscito direttamente da “The Avenger” ci introduce un altro degli apici del disco: “Ironside“. La canzone narra le gesta di Björn Ragnarsson, soprannominato appunto “Fianco di ferro”. La canzone, tra riff e cantato old school, parti arpeggiate, altre narrate e cori sinistri, è la perfetta summa tra vecchio e nuovo. Altri pezzi che strizzano l’occhio a nuove sonorità sono “Valkyria“, con la sua chiusura affidata a un pianoforte, e la malinconica e cupa “Into the Dark“, dove compaiono degli archi con esiti più positivi rispetto all’ultima volta che la band ha provato questa soluzione (vedi “Doom Over Dead Man“). Il disco ha anche i suoi momenti epico-tamarri, incarnati soprattutto da “Wings of Eagles” e “Raven’s Flight“.
“Berserker” ci presenta gli Amon Amarth in forma smagliante e nuovamente grintosi. Il cantato di Johan Hegg infatti è tornato a essere furioso come in passato e musicalmente parlando i Nostri stanno iniziando a usare strutture diverse dai riff alla “Guardians of Asgaard” e a inserire assoli di pregevole fattura. Una menzione a parte va fatta per Wallgren, che martoria la batteria da inizio a fine disco senza compromessi: probabilmente avrà influito anche il suo background nel ritorno a sonorità più death e aggressive. “Berserker” è un disco perfettamente riuscito e quasi inattaccabile: “The Berserker at Stamford Bridge” infatti è l’equivalente musicale di una portata dimenticata all’all you can eat che arriva quando non volete vedere sushi per i prossimi tre giorni. Se siete fan degli Amon Amarth, con questo lavoro vi ritroverete tra le mani uno dei migliori capitoli della band e se non conoscete i vichinghi svedesi, questa potrebbe essere una buona occasione per avvicinarsi alla band.