Le premesse ci sarebbero tutte: l’ottavo full-length degli Alghazanth nasce come album finale della band. Da qui il titolo dell’opera (“Eight Coffin Nails“), a simboleggiare come il progetto dei suoi componenti sia ormai alla fine, al suo vero e proprio “funerale”.
Storia intrigante, non vi pare?
Se non fosse che l’album è senza infamia, ma anche senza gloria.
Salvo un’intro melodica accattivante, le tracce successive si ripetono senza dettagli degni di nota. Non solo si copiano tra loro, ma riprendono con fin troppa somiglianza la tradizione Black Metal di stampo nordico. Niente di nuovo sotto il sole (o la luna), in sostanza.
Pure i testi rimangono attaccati al “la” dato anni or sono dai Dimmu Borgir: satanismo, invocazione di demoni, melancolia. Punto.
Sia chiaro: non è da buttare, la tecnica c’è, la grinta pure. “Aureate Waters“ ha degli stacchi di batteria forti, così come “The Foe of Many Masks“; ma non entusiasma, più che altro va bene come accompagnamento quotidiano per un amante del genere. Va citato, nella nostra rassegna, il pezzo finale: “To Flames the Flesh“ ricorda i primi anni 2000, coi suoi tratti lenti e suonati con trasporto; sei minuti da premiare, in sostanza.
La band nata nel 1995 non è dunque riuscita a distinguersi, soprattutto ora che l’ambiente sta mutando grazie alle influenze di origini slave – Nokturnal Mortum e Batushka docent. Tuttavia c’è esperienza; esperienza portata avanti in particolare dai due membri originali: Gorath Moonthorn alla batteria e Thasmorg, voce e basso.
Un 6 se lo sono meritato.