Grazie alla sua enorme vastità e alle misteriosi profondità, il mare riesce ad incantare ed affascinare l’essere umano sin dagli albori della sua storia.
Ma il mare è anche festa, donne, divertimento, caccia agli zombi e tesori nascosti. La “Pirate Metal Drinking Crew” degli Alestorm è tornata per dimostrarcelo con il sesto incontinente studio album “Curse of the Crystal Coconut“!
Dal titolo non possiamo che aspettarci un prodotto assolutamente in linea con quello che la band ha sempre coraggiosamente espresso dalla sua nascita: un folk/power/heavy metal poco adatto ai cosiddetti “true metalhead” o ai conservatori del genere “pirate” a la Running Wild (comunque rispettabilissimi).
Quello che i nostri cinque pirati scozzesi vogliono proporre è dunque di tutt’altro stile e, tre anni dopo la loro ultima pubblicazione, raggiungono la libertà di composizione cui hanno da sempre ambito e finalmente conquistato grazie ad un seguito maturato album dopo album, live dopo live. OH WOW!
Le acque si agitano immediatamente con il primo singolo “Treasure Chest Party Quest“, un inno al sano estremo cazzeggio che lascia il segno a suon di riff carichi di energia e ottime soluzioni di tastiera del buon Elliot Vernon. Ed è subito uncino al cielo.
“Fannybaws” non rallenta i ritmi, anzi. Il simpatico racconto del temibile pirata-nano dalla barba rossa diverte e cattura al primo ascolto, i cori pirateschi accompagnati dalla buona prestazione generale della band funzionano, coinvolgono e, senza rendercene conto, cominciamo a sentire un inspiegabile bisogno di qualche bicchiere di rum.
Escludendo i determinanti violini presenti su tutto l’album di Ally Storch (Subway to Sally), l’accattivante “Chomp Chomp” vede partecipare il primo special guest dell’album: Mathias “Vreth” Lillmåns (Finntroll) che con la sua potente voce orchesca catapulta l’ascoltatore in un vortice brulicante di feroci alligatori, grazie anche alla buona presenza di Peter Alcorn dietro le pelli e di Gareth Murdock al basso.
“Tortuga” è senza ombra di dubbio il brano più audace che la band abbia mai prodotto, azzardato quanto incredibilmente riuscito. Un sound electro dance travolgente viene contornato da elementi hip-hop e, come se non bastasse, il sorprendente duetto tra Christopher Bowes e Captain Yarrface (Rumahoy) aggiunge spessore al (concedetemi il termine) “flow” in chiave pirate metal. Insomma, adatto ad ogni tipo di festa in cui vige rigorosamente il “no sense”, ma non preoccupatevi, al secondo ascolto la canterete in testa pure prima di andare a dormire.
Le avventure continuano con “Zombie Ate My Pirate Ship” in cui l’ottima forma di Máté Bodor alla chitarra viene accompagnata dalle melodie di Patty Gurdy (Patty Gurdy’s Circle) di voce e ghironda, strumento pragmatico che ritroviamo anche in “Call of the Waves” in egual misura e riuscita.
“Pirate’s Scorn” ricorda gli esordi della band e, pur essendo segnata da cori e sezioni ritmiche piuttosto semplici, risulta essere una canzone gradevole proprio come la successiva e breve “Shit Boat (No Fans)“, mentre l’intimidatoria “Pirate Metal Drinking Crew” impone l’arroganza piratesca della ciurma di Perth su chiunque voglia ingenuamente varcare i sette mari senza avere brutte sorprese.
Giungendo quasi alla fine della nostra avventura “Wooden Leg Part 2 (The Woodening)” si presenta come sequel del brano contenuto nel quarto disco “Sunset of the Golden Age”. Più romanzata e varia, la struttura contiene elementi black, elettronica 8 bit, scream e parti di narrazione in giapponese e spagnolo che rischiano di spezzare il pathos generale, fortunatamente senza riuscirci.
Accompagnati da arrangiamenti più tranquilli, con “Henry Martin” si torna in acque sicure dopo un ascolto decisamente soddisfacente di questo entusiasmante “Curse of the Crystal Coconut”.
Caotica, selvaggia e avvincente. L’ultima fatica degli Alestorm non bada a limitazioni di nessun tipo, colpisce e stupisce nella sua varietà mantenendo alto il tiro per tutta la durata del disco. Il caratteristico spirito goliardico, la demenzialità mai fuori dalle righe e le ritmiche arrembanti permettono di conquistare sempre più notorietà alla band concedendosi di allargare gli orizzonti compositivi per il quale lavorano dall’inizio della loro carriera e che sappiamo useranno per cercare in tutti i modi di stupirci e divertirci, com’è giusto che sia. Lunga vita alla ciurma.