Il duo francese Alcest formato dal batterista Winterhalter e dal cantante/polistrumentista Neige sono comunemente denominati come pionieri del blackgaze, per una buona ragione: è stata una delle prime band nel portare al mondo un lato più catartico del black metal. Sin dal primo EP rilasciato, “Le Secret”, hanno creato prodotti irresistibili composti da caos e atmosfere trascendentali. A livello compositivo “Spiritual Instinct” segue lo stesso percorso di “Kodama” senza evolvere in nulla di particolarmente nuovo o ricercato, ma offrendoci un ritorno in reami più oscuri dopo il breve distacco fatto con il famigerato “Shelter”, album che ha visto la band allontanarsi dal metal per esplorare paesaggi post-rock e shoegaze.
“… In “Spiritual Instinct”, ci sono domande sul significato della vita e sulla possibile esistenza di qualcos’altro; qualcosa di divino”, afferma Niege attraverso un comunicato stampa, canalizzando gran parte del suo disagio esistenziale in sei canzoni con il continuo aiuto di Winterhalter alla batteria.
“La lotta per essere una persona migliore per te e per le persone intorno a te, per evolvere come anima. Devi affrontare i tuoi demoni se vuoi essere una persona migliore.”
Ciò si traduce sicuramente in album dal tono più scuro e più acuto che necessita della capacità di lasciarsi andare, di voler interrompere la frenesia quotidiana concedendo agli Alcest di traghettare l’ascoltatore nel proprio malinconico universo. Dopo l’intro “Les Jardins De Minuit” il singolo principale, “Protection“, si apre con un riff torreggiante e un pattern di batteria che crea un enorme punto di salto per la voce di Niege andando a formare una montagna russa di evoluzioni musicali per tutta la sua durata.
La sezione centrale dell’album, “Sapphire” e “L’ile des Morts“, è probabilmente il punto più forte dell’album. Il secondo singolo”Sapphire” ha una melodia che si stampa subito in testa; il brano funziona ed è immediato e, per quanto semplice, le melodie intessute in esso sono meravigliosamente intrecciate all’atmosfera alimentandosi a vicenda in pathos e trasporto. “L’ile des Morts” con i suoi 9 minuti è il brano più lungo del disco ed è indubbiamente il migliore a livello compositivo, gli inserti di chitarra hanno quel velo che stordisce l’ascoltatore, ma il tutto rimane viscerale e spirituale; la sezione ritmica è assolutamente perfetta muovendosi distintamente tra le varie parti che la compongono, infrangendosi nel finale con un crescendo sublime. “Le Miroir” e la title track siglano la chiusura dell’album, andando a ricalcare quanto proposto con le tracce precedenti senza aggiungere nulla di particolarmente significativo dissipando l’energia accumulata fino ad ora.
La produzione dell’album è ottima e consente di ascoltare ogni elemento strumentale con chiarezza incontaminata, fornendo così un ascolto molto soddisfacente.
Questo disco potrebbe collocarsi come uno degli apici tra le produzioni del duo di Bagnols-sur-Cèze, ma “Spiritual Instinct” è “solo” una prova di maturità per la band e una riconferma del loro stile. Nulla di più e nulla di meno. Non deluderà sicuramente chi ha apprezzato i lavori precedenti del duo di Bagnols-sur-Cèze, ma per quanto l’album dimostra una notevole maturità compositiva, un po’ di coraggio e originalità in più non avrebbe guastato.