Ritornano i Blut a tre anni da “Inside My Mind Pt. II” con questo nuovo album, “Hermeneutics“. Si tratta di un gruppo che ha esordito nel 2015 con “Inside My Mind Pt. I“, ricevendo un riscontro positivo dal pubblico e dalla critica, per poi rilasciare due anni dopo la sopracitata parte seconda, anch’essa apprezzata. Il gruppo è particolare, nato a cavallo tra Svizzera e Italia, si ispira molto ai Type O negative e ai Pain, con le parti lente che ricordano vagamente i TiamaT. La sezione ritmica è consistente con batteria e basso sostanziosi, sormontati da chitarre a differente distorsione, una voce maschile e due femminili, e soprattutto le tastiere che la fanno da padrone con una pletora enorme di effetti esterni, dal carillon all’elettronica, senza mai scadere nel symphonic. Il tema dell’album non è facilmente intendibile, a meno che non si abbia un’idea di cosa facciano i cartomanti: le canzoni prendono il nome dei tarocchi, e come le carte sono 22. Si tratta di un album particolarmente variegato e denso che sembra durare molto di più di quanto non lo sia su carta, con pezzi di una durata variabile dal minuti e mezzo ai sette scarsi, per un totale di un’ora e dieci minuti circa.
Tra le canzoni rilevanti:
- “I The Magician“: secondo pezzo. Dopo l’intro in techno “0 The Fool” arriva il primo pezzo vero e proprio che si discosta completamente con una combinazione di industrial e gothic metal. Una canzone particolare, con da una parte riff scanditi e pestati con una voce maschile principale, e dall’altra un ritornello leggero e melodico con voce femminile. Come inizio non è male, dato che rimane in testa.
- “XIII XIII“: quattordicesima canzone. Voce gracchiante, chitarre sempre sul pezzo con un assolo in stile hard rock “classico”, outro lunghissimo (e leggermente disturbante) con voce viscida e gracchiante su carillon in stile film horror anni ’90 con il diavolo o spiriti maligni.
- “XVI The Tower“: diciassettesima canzone dell’album. Un brano corto come quello successivo (“XVII The Star“), entrambi peculiari, ma questo contenente musica tecnica e pestata, di quella che si potrebbe trovare in alcuni pezzi degli Anaal Nathrakh. Lascia di sicuro meno indifferenti di una ballata con tanto di archi dedicata alle stelle.
Rispetto all’album precedente i Nostri hanno mantenuto l’abitudine di fare un minestrone, spaziando da un genere ad un altro agilmente, anche più rispetto al passato, e la qualità di composizione ed esecuzione è rimasta costante. Si è osservato un allargamento dei suoni e delle influenze, arrivando a pezzi che, a chi non conosce i Blut, a tratti straniscono per quanto si discostano l’un l’altro. Questo può dare una sensazione che sia un zibaldone disordinato, ma in qualche modo si sente la presenza di un fil rouge, di un’atmosfera a metà tra un circo psicotico e un’industria semiabbandonata che accomuna tutti i pezzi, seppur così diversi. I fan con ogni probabilità apprezzeranno, e l’ampia gamma fa si che almeno un pezzo o due possa venire apprezzato da praticamente chiunque.