Mi sono concesso il lusso di godermi i Textures dal vivo (a questo indirizzo potrete leggere il report della serata) durante il processo di riordino delle idee per scrivere questa recensione, e in un certo senso mi ha chiarito molte cose che ora spiegerò con più calma.
Venendo da 5 anni di silenzio, la band Olandese ha preferito ponderare di più questo nuovo disco, programmando per altro un seguito complementare, più calmo e tranquillo ma che prosegue in linea con il concept di Phenotype.
Sperimentazione, cattiveria e idee più grintose sono state lasciate a questa sorta di prequel, Phenotype infatti è un disco molto aggressivo, suonato ai limiti dell’umano e con degli spunti sia tecnici che melodici dal grandissimo valore, oltre la grande precisione della band c’è spazio sia per dei momenti più rilassati, quanto per parti decisamente pesanti e brutali, questo equilibrio viene continuamente spezzato e ricomposto, in un mosaico molto intricato e longevo.
Un altro elemento in perenne equilibrio è la volontà di mettere in mostra la bravura dei singoli musicisti, ma senza mai scadere, perdendo musicalità in inutili esercizi. Si potrebbe riassumere il concetto in maestria.
Complice l’innesto di Joe e Uri, rispettivamente a chitarra e synth, i Textures hanno aggiunto valore alla già incredibile formazione, sfruttandola in maniera molto matura per costruire un disco molto vario, colto e interessante, alternando solismi e virtuosismi a parti più semplici e d’impatto, layers di tastiera che mettono i brividi e l’alternarsi di tutto lo spettro vocale del buon Daniel, che sia una prerogativa dei vocalist mostruosi questo nome? La sessione ritmica non è da meno, manco a specificarlo, travolge, con potenza e precisione e aggiunge dinamica all’intero Album, lavoro di basso e batteria impeccabili, tanto di cappello.
Come da tradizione i Textures non deludono, fra i pionieri di un genere cresciuto a suon di Cliche, hanno saputo ancora una volta rimanere personali anche attraverso un’evoluzione, cosa assai difficile, specie per le band estreme, hanno abbandonato lo stesso genere che hanno praticamente fondato, in nome della sperimentazione e del piacere di far musica.
Il disco di per se è un piccolo capolavoro, perchè è ottima musica ma in oltre riesce a sfociare perfino nel tribalismo, riesce a contenere dei piccolissimi (si parla esattamente di passaggi di pochi secondi) riferimenti a capolavori degli anni che furono (una band Djent che nel tentativo di sganciarsi dalla scena, tributa i Meshuggah di Destroy Erase Improve? quei 3-4 secondi di pura genialità), una produzione moderna ma molto organica (qui e li son stati lasciati dei segni volontari, per distaccarsi dal mondo dell’iper editing) ed un Artwork veramente molto bello che va ad incorniciare un’esperienza esemplare, che si spera abbia un seguito degno, se pur con un cambio di genere previsto.
I Textures hanno dimostrato un’enorme personalità e maturità, sfornando l’ennesimo disco degno del loro nome e della loro fama.
Tirando le somme, mi sento di metterlo preventivamente nella top 10 del 2016, è rarissimo vedere delle band di questo genere, riuscire a portare live la stessa qualità che raggiungono in studio, con la stessa energia e groove, senza perdersi in trucchi o finzioni.
Non manca nulla se non consigliarvelo caldamente e sperare che i Textures passino dalle vostre parti, per goderveli Live.
line up:
Daniel de Jongh – vocals
Joe Tal – guitars
Bart Hennephof – guitars
Stef Broks – drums
Remko Tielemans – bass
Uri Dijk – synths