Nati a Glasgow quindici anni or sono, i Bleed From Within hanno sempre proposto nei primi dischi un sound deathcore aggressivo con ricche linee vocali alternanti tra lo scream e il growl, mentre ad accompagnare il riffing pesante e conciso venivano poste in risalto le prestazioni di batteria con skunk beat (il nostro amato “tupa tupa”) dall’influenza thrash e death.
Nulla di nuovo ma già si vedeva cosa, con un pizzico di maturità in più, avrebbero potuto offrire dando colore e personalità alle loro ispirazioni.
Con la pubblicazione di “Era”, poco più di due anni fa (qui la nostra recensione), la band definì l’inizio di un nuovo capitolo più melodico e caratteristico. Per la prima volta nella storia della band, l’appartenenza all’album precedente è rappresentata nuovamente nel suo follow-up “Fracture“.
Il titolo dell’album può sembrare avere una connotazione negativa, ma in realtà assume un significato costruttivo. “Rottura”, “violazione”, “scissione”: i cinque ragazzi scozzesi stanno qualificando in maniera convincente la separazione dal loro passato e come dicono loro stessi “il dubbio e la paura sono stati sostituiti da una fame insaziabile di crescita personale”.
I dieci brani contenuti all’interno di “Fracture” sono quindi veicoli di liberazione, un modo per staccarsi da tutto ciò che la band ha trascorso e andare avanti come un’unica entità, aprendo nuove porte e orizzonti compositivi.
“The End Of All We Know“, primo singolo rilasciato a fine novembre dello scorso anno, è il brano con cui i Bleed From Within sfruttano l’adrenalina metalcore come faro per il resto dell’album dando spazio a sezioni corali in pulito intrecciandole con numerosi riff tempestosi e compatti.
L’inserimento di basi elettroniche in “Paithfinder” rendono il tutto più interessante e, ad affiancare le prestazioni strumentali travolgenti, troviamo la rabbia liberatoria espressa dal cantante Scott Kennedy che in “Into Nothing” accusa tutti coloro che governano diffondendo ipocrisia e miseria, soprattutto nel nostro periodo storico. Questa canzone diventa però un qualcosa di più. In un momento così turbolento che la nostra società sta vivendo, funziona come un commento sociale e politico appellandosi a tutte le persone che si sentono abbandonate e prive di potere: “Despite the consequence, we show no fear, go!”
“Fall Away” nonostante il suo essere derivativo scorre bene quanto basta per imbattersi nella title-track, pezzo più melodico e sperimentale con ritmi e groove che aggiungono potenza al suono complessivo.
“Night Crossing” prosegue sulla stessa linea d’onda spingendo sull’accelleratore grazie anche ad un assolo pulito e preciso dell’ospite speciale Matt Heafy (Trivium).
La maturazione del songwriting è ormai senza ombra di dubbio sancita grazie a “For All To See“, che si collega direttamente alla successiva “Ascend“, mentre in “Utopia” il gruppo scozzese arricchisce ulteriormente la sua nuova sfera musicale.
“A Depth That No One Dares” chiude un album dinamico ed esaltante. Dopo una grande esperienza maturata successivamente l’uscita di “Era” la sperimentazione con melodie, voci in pulito e qualche atmosfera elettronica hanno fatto si che “Fracture” presentasse delle soluzioni che spezzassero (in tutti i sensi) ogni traccia del disco rendendolo il più personale possibile.
Nonostante non sia il lavoro che cambierà il futuro della band, sicuramente i Bleed From Within possono costruirsi un ottimo check-point su cui consolidare la propria impronta stilistica. Unendo buonissime qualità thrash, death e groove metal la band continua a mostrare come i buoni spunti colpiscano nel segno e continuino ad essere parte di quello che personalmente hanno composto ed espresso in questo quinto studio album.