Mi piacciono le eccezioni che confermano una regola. Mi piace ricredermi su quelli che penso siano ormai dei miei dogmi su cui sono intransigente, perché mi danno la conferma che esistono dei musicisti che sanno quello che fanno seppur rispettando al cento per cento i canoni di un certo genere. L’album di debutto dello svedese Kvaen è una di queste eccezioni.
Nato nel 2018 come progetto solista di Jacob Björnfot (Autumn Death, ex-The Duskfall), questo “The Funeral Pyre” è in breve un prodotto assolutamente perfetto, devoto ad un certo black metal mai dimenticato, intriso di speed anni ’80, ricco di sfumature thrash metal, paganesimo e viking metal che potrebbe addirittura disturbare un certo Quorthon dal suo riposo.
Accostandosi all’ascolto di quest’album, ci si ritrova di fronte a 40 minuti e otto brani di furia nera, in cui Björnfot racchiude tutte le sue principali influenze in una mistura letale e di ottima fattura. Il musicista inoltre ha sfruttato un vasto assortimento di colleghi per le parti di batteria, alcuni assoli e anche alcuni testi.
Schiacciando quindi il tasto play veniamo immediatamente investiti dalla furiosa e velocissima “Revenge By Fire”, leggiadra in alcuni punti e con un breve momento di calma. Da headbang assicurato praticamente dall’inizio alla fine, è la perfetta apertura all’album, una dichiarazione d’intenti che ci mette subito in guardia su quello che ci aspetterà di qui in avanti.
“Yee Naaldlooshii” e “Septem Peccata Mortalia” vedono entrambe la collaborazione di Pierre Törnkvist (Devil’s Force, Helltrain), che ha sia scritto i testi che prestato la voce. Entrambe sono decisamente black metal; la prima è aiutata da un furioso blast beat e permeata di gelo totale, piegandosi verso momenti più melodici in alcuni punti. La sezione centrale regala un attimo di respiro, variegando il brano quanto serve per renderlo interessante e quasi imprevedibile. La seconda, invece, seppur mantenendo il blastbeat, sembra più ritualistica e melodica, addirittura più semplice, veleggiando più verso le coste del viking metal. L’headbang è comunque una certezza, specialmente nella spettacolare parte centrale cruda e ritmata, seguita immediatamente da un breve assolo. Questa parte eleva il brano ad uno dei migliori dell’intero album.
La title-track sorprende con un’introduzione maestosa seppur creata da poche note di chitarra; con l’arrivo della batteria si capisce perfettamente che non c’è alcuna intenzione di dar vita ad un brano completamente melodico. Il riff portante è semplicemente splendido, ai confini dell’epic. Nel suo svolgimento è puramente black metal dopo solamente una piccola interruzione più leggiadra. Viene usato un effetto vocale per rendere più inquietante la parte a metà brano, che continua dritto per la sua strada, portando ad uno splendido assolo ad opera di Sebastian Ramsted (Necrophobic, ex- Exhumed). Un’altra splendida gemma.
Un’intro forse scontata quella di “The Wolves Throne”: pioggia e ululati di lupi danno però spazio ad un’inquietantissima sezione di chitarre che man mano avvia al brano, che procede in un pesante mid-tempo. Pezzo abbastanza difficile da descrivere, un riff ipnotico dà spazio a delle bellissime sezioni più ritmate, e finalmente si prende velocità in vista della metà brano. Un breve assolo apre le danze per della pura violenza black metal, che porta il brano fino alla sua conclusione.
“As We Serve The Masters Plan” si distingue per un altro meraviglioso riff e un incendio dei più neri che imperversa per tutta la durata del brano. Nonostante una sezione più melodica e un’interruzione per dare spazio ad una certa introspezione, la rabbia cova sotto le ceneri. Un brano semplice eppure da non trascurare.
Subito aggressiva, “Bestial Winter” esibisce chitarre dissonanti, blast beat cattivissimo e riff al permafrost: è una tempesta, impetuosa e violenta, che si calma solamente per permettere lo svolgimento di un assolo che ricorderà sicuramente qualcosa di già sentito. Ma l’uragano riprende con rabbia inaudita, fino alla fine. Questo è il mio preferito di “The Funeral Pyre”.
La conclusione di questo spettacolare viaggio viene affidata a “Hymn to Kvenland”, una bella strumentale che racchiude in sé tutte le influenze ascoltate finora, come a tirare le somme.
Ogni tanto è bello tornare a casa, specialmente se quanto ascoltato è assolutamente perfetto ma in sé racchiude in tocco di originalità. “The Funeral Pyre” è assolutamente imperdibile, un must per gli amanti dei tre generi qui racchiusi. Non ci si può aspettare di più da una prossima uscita, solo la perfezione.