LOST SYMPHONY – Chapter I

by Luca Margini

C’è da sempre un enorme dibattito tra chi preferisce il gusto musicale e chi la tecnica. Personalmente penso che la tecnica debba sempre essere al servizio della musica, perché se contestualizzata riesce a regalare emozioni e musicalità. Esistono tuttavia generi che necessitano, da definizione, di una tecnica quasi “invadente”.
Uno di questi generi è sicuramente il Symphonic Power Metal, che spesso pone al centro di tutto proprio le capacità individuali dei musicisti. La difficoltà sta infatti nel creare situazioni originali ed interessanti, mantenendo però l’aria barocca che da sempre caratterizza molte produzioni di questo tipo.
I Lost Symphony debuttano con un’opera dalle premesse decisamente ambiziose: creare l’unione definitiva tra Metal e musica Classica. Il polistrumentista Benny Goodman ha quindi riunito una formazione di professionisti, partendo dal fratello Brian (compositore), per poi reclutare Cory Paza (basso, chitarra), Kelly Kereliuk (chitarra), Paul Lourenco (batteria) e Siobhán Cronin (violino, viola, violino elettrico).
Un aspetto realmente interessante di questo lavoro è l’enorme quantità di ospiti, anche di un certo rilievo, come Marty Friedman, David Ellefson, Angel Vivaldi e Jeff Loomis, per citarne alcuni.

Chapter I” si presenta come la fiera dello shred, in cui l’ascoltatore viene catapultato in un universo di virtuosissimi neoclassici a non finire, con gli archi che ogni tanto ci ricordano la natura ricercata del lavoro, che vuole essere più di un album neoclassico qualsiasi. L’enorme quantità di collaborazioni dona al disco un aspetto quasi “ludico”: è davvero divertente chiudere gli occhi e, nel miasma di assoli, riconoscere gli stili che ci hanno fatto amare (od odiare) degli autentici pilastri dello shred. L’album è stato composto ponendo un’estrema attenzione ai dettagli, in certi frangenti sembra di ascoltare una colonna sonora, tanta è la cura riposta nel lavoro.
Nonostante la meticolosa rifinitura nei minimi particolari il disco pecca però di inventiva. In molti casi l’album soffre di sezioni eccessivamente prolisse e monotone, che vanno ad intaccare l’esperienza facendoci arrivare con fatica alla fine della traccia. Pezzi come “Premeditated Destruction” o l’opener “Singularity” risultano stancanti e volti unicamente ad offrire testimonianza delle capacità tecniche dei musicisti. Non mancano degli episodi un po’ più intimi, come la conclusiva “Lacrimosa“, che però risulta parecchio prevedibile nonostante sia sorretta da una piacevole chitarra acustica.
Il difetto più grave di questo album è la mancanza di reali highlights, se non per la splendida “Requiem“, piuttosto si può considerare l’opera come un’unica suite divisa in 9 movimenti.

Insomma, l’unione definitiva del Metal con la musica Classica suona piuttosto come una raccolta di virtuosismi che solo in qualche, breve, spiraglio riescono ad evolvere in qualcosa di più interessante ed evocativo.
Sarebbe bastata una maggior varietà all’interno dei singoli brani per risolvere il problema, al posto di separare in modo così netto i pezzi nel tentativo, spesso vano, di dare una personalità ad ogni traccia, finendo però per far soffrire i pezzi di un’eccessiva staticità. L’esperienza si conclude con l’impressione di aver ascoltato un album suonato perfettamente, ma piatto e privo di personalità.
“Chapter I” è quindi un’opera riuscita a metà, che forse avrebbe dovuto osare di più e pensare un po’ di meno, per evitare di essere pervasa da un’aria di già sentito a causa di un songwriting banale e poco variegato.
Se siete amanti dello shred quest’album saprà intrattenervi grazie alla preparazione dei musicisti e alla partecipazione di ospiti di tutto rispetto, diversamente potete tranquillamente passare ad altro.

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