A tre anni di distanza da “The Warlock” gli spagnoli Inferitvm ritornano in pompa magna con il loro secondo lavoro, “The Grimoires“. Come suggerisce il nome scelto per l’album, il titolo di ogni canzone reca il nome di un grimorio, più o meno famoso, a rivendicare l’aspetto occulto della compagine di Palma de Mallorca. Composto da undici brani, nella sua interezza supera di poco l’ora di riproduzione. A livello strettamente musicale, rispetto all’album di esordio, è da segnalare un piccolo passo indietro nonostante ci siano state delle innovazioni non indifferenti. Chiariamoci subito, se amate il Black Metal in ogni sua sfaccettatura avete decisamente pane per i vostri denti: riff velocissimi, batteria serrata, parti vocali aggressive e da brivido sono presenti e sull’attenti. Eppure manca qualcosa; analizzando i brani uno ad uno andremo a vedere di cosa si tratta.
L’album inizia con un’introduzione che si può definire solamente “kitsch”, ma almeno ci presenta una grande protagonista della composizione: la tastiera. Rispetto al lavoro precedente, vari tappeti di suono accompagnano la maggior parte dei brani e “Trithemius” sembra creata allo specifico scopo di introdurceli. Peccato che la parola scelta da me poco innanzi sia l’unica cosa da dire al riguardo: se l’intento era quello di creare un alone di mistero e regalità, ci riesce solo in minimissima parte. Segue “Codex Gigas“, dove finalmente le carte vengono messe in gioco; si nota da subito una differenza di missaggio rispetto al precedente lavoro (dove, a mio parere, il suono era decisamente più cristallino; qui è più ovattato). Parlando esclusivamente di quello che si andrà ad ascoltare, una sferzata di puro gelo nordico investe l’ascoltatore praticamente da subito, richiamando molto gli Immortal. Il cantato di Sorcerer V. ricorda ancora quello della one man band americana Leviathan, ma sembra aver unito al suo stile un’influenza di Abbathiana memoria. Verso la metà del brano una parte puramente Black lascia intravedere il primo tappeto di tastiere, conferendo un’aura inquietante e maestosa al brano. A condire un pezzo molto carino c’è un bell’assolo precedente una sezione angosciosa, dove cori di voci dissonanti ci portano alla conclusione del brano. “Clavicula Salomonis” parte con brevi riff aggressivi, continuando con un ritmo ben cadenzato che induce all’headbanging; prosegue allo stesso ritmo lasciando parlare il blast beat serrato di Bârg. Tornano anche qui le voci dissonanti, a rimarcare un elemento di generale inquietudine; il ritmo rallenta dando anche spazio ad un buon assolo, mentre subito dopo viene concesso un attimo di respiro lasciando prevalere l’aspetto sinistro dell’intero album, prima di procedere con un’altra parte di assoli che portano alla conclusione del brano.
“Malleus Maleficarum” parte con organo e voce in un’invocazione diretta al signore degli inferi: non a caso l’introduzione del brano è subito maestosa (ritornano subito in mente gli Emperor), con una chitarra solista accompagnata da un’interessante parte di batteria. Verso la metà del brano un riff infuocato fa aumentare per poco la velocità; verso la conclusione il ritmo torna di nuovo serrato e la tastiera fa da eco alle chitarre, ma non c’è molto altro da segnalare. Questa è una pecca abbastanza pesante dell’album: la monotonia rende, a lungo andare, l’ascolto stancante e già qui se ne possono sentire le prime avvisaglie. “Goethia Of Shadows” ha un inizio non esattamente entusiasmante, lascia poi parlare brevemente la chitarra ed esplode in un incendio del nero più puro; ma ecco che un intermezzo che sembra richiamare molto “One” dei Metallica sorprende decisamente. Un altro bell’assolo ci porta ad un riff molto interessante a velocità da capogiro, impreziosendo un brano altrimenti monotono. Subito dopo, un altro richiamo al famoso brano dei Metallica è da riscontrarsi nella batteria che accompagna la tastiera e poi la voce.
“Galdrabök” non aggiunge niente di nuovo all’inizio del brano, che prosegue lento e cadenzato, con la chitarra solista che si libra autonoma. Il ritornello è oserei dire vagamente orecchiabile, seguito da una parte ben scandita dalla batteria che porta a un headbanging praticamente obbligatorio. Nient’altro da aggiungere. “Liber Lux Tenebris” richiama sin da subito un altro brano dei Metallica, stavolta “Welcome Home (Sanitarium)”, anche se non è certo immediato. Un’altra parte puramente Black esplode quasi immediatamente, riproponendo in seguito elementi già presenti anche negli altri brani finora proposti. Qui la monotonia inizia a farsi sentire, non bastano più i cambi di tempo e un altro bell’assolo a tenere viva l’attenzione, purtroppo. “De Occulta Philosophia” inizia con un riff sinceramente molto fresco e interessante prima di diventare una canzone Black di tutto rispetto, con un ritmo non ben chiaro che sembra voler disorientare l’ascoltatore. Una parte regale e cadenzata interrompe brevemente il brano, procedendo in questa maniera prima di un cambio di ritmo. Superata la metà del brano, la parte vocale diventa maniacale e al limite del terrorizzante, ritornando poi solenne e ritmica. Potrebbe essere essere il brano più interessante dell’album.
Nell’ultimo quarto d’ora troviamo “La Poule Noire” che parte subito al limite della più feroce cattiveria, un brano Black Metal nudo e crudo che per la verità non offre altro oltre a questo; ciò nonostante è un ascolto piacevole. “De Praestigiis Demonium” offe un’altra sferzata di gelo nordico ma la monotonia la fa -sfortunatamente- da padrona; per descriverla dovrei ricorrere a molte ripetizioni. A “De Umbrarum Regni” viene affidata la conclusione: un organo e delle inquietanti voci femminili ci accolgono, in apertura ad un pezzo molto lento ma non meno inquietante. Verso la metà il brano riprende velocità, ma la monotonia torna presto a regnare, con gli unici punti salienti che vengono evidenziati dai cambi di tempo. Nel finale ritorna la voce femminile; la tastiera è l’ultimo strumento prima che la canzone si spenga.
“The Grimoires” è bello. Questo non si può mettere in discussione, c’è tutto quello che si vuole e anche di più, anche il tentativo di migliorare e migliorarsi grazie alle tastiere e dei cori sinceramente inquietanti. Gli Inferitvm offrono davvero dell’ottimo Black Metal, anche su questo non c’è dubbio; per questo la vera ragione per cui “The Grimoires” sia un passo indietro rispetto a “The Warlock” è difficile da definire veramente in poche parole. Secondo il mio modesto parere, due cose avrebbero aiutato a salvare quest’album dalla tremenda monotonia che trascina dietro di sé, in particolare nella parte centrale: uno snellimento della durata dei brani e una leggera invettiva in più. So benissimo che “invettiva” e “Black Metal” non vanno spesso a braccetto, però sarebbero state due buone soluzioni. È giusto e normale non attuare sin da subito un completo cambiamento quando si introducono delle migliorie nelle proprie composizioni e reputo che questo sia il motivo per cui “The Grimoires” non abbia molto da dire. Per questo motivo sono certa che dai prossimi lavori degli Inferitvm avremmo di meglio da aspettarci e che questo, quindi, sia solo un rito di passaggio.